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Giurisprudenza

L’opzione esclude l’emendabilità della dichiarazione

Nessuna ritrattabilità se l’errore riguarda la manifestazione di volontà che è implicita nella scelta offerta dal legislatore al contribuente

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La Corte di cassazione, con la sentenza n. 25056 del 27 novembre 2006, è tornata a pronunciarsi sul principio di emendabilità e ritrattabilità delle dichiarazioni fiscali, affermando che “l’errore emendabile deve sempre riguardare il contenuto proprio della dichiarazione di scienza, non la manifestazione di volontà implicita nell’esercizio di un’opzione offerta dal legislatore”.
In particolare, con la pronuncia in commento, concernente la dichiarazione resa dal contribuente ai fini dell’Invim decennale, i giudici di legittimità hanno escluso la possibilità per il contribuente di rettificare il valore indicato nella dichiarazione originaria, oggetto di accertamento da parte dell’ufficio, indicando il valore risultante dall’applicazione di criteri automatici.

La controversia concerneva l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dall’ufficio, mediante il quale era rettificato il valore indicato dal contribuente, ai fini Invim, che risultava inferiore a quello determinato sulla base del criterio automatico basato sulla rendita catastale.
Il contribuente, intendeva, allora, emendare la dichiarazione originaria, anche dopo la rettifica operata dall’ufficio, adeguando il valore indicato al valore risultante dall’applicazione dei criteri automatici, ritenendo irrilevante che il valore iniziale non fosse uguale o superiore a quello automatico, essendo la dichiarazione Invim, come tutte quelle fiscali, una dichiarazione di scienza e, pertanto, rettificabile in ogni momento.

La Suprema corte ha ritenuto infondate le argomentazioni del ricorrente, confermando l’orientamento espresso dalla più recente giurisprudenza delle sezioni unite in merito alla emendabilità degli errori e omissioni contenuti nella dichiarazione, in quanto atto di scienza e non di volontà (cfr Cassazione, sezioni unite, 17 gennaio 2002, n. 15063; in senso conforme, Cassazione, sezioni unite, 17 gennaio 2002, n. 17394).

Secondo il citato orientamento, “la riscontrabilità di una, in linea di massima generalizzata, possibilità di rettificare o di ritirare, in tutto o in parte, la dichiarazione dei redditi non può non essere fatta discendere e dalla relativa natura di atto non negoziale e non dispositivo, recante una mera esternazione di scienza e di giudizio, da essere, come tale, in linea di principio modificabile nell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti e/o valutati, e dal fatto che essa non costituisce il titolo dell’obbligazione tributaria, ma integra un momento dell’iter procedimentale inteso all’accertamento di tale obbligazione ed al soddisfacimento delle ragioni erariali che ne sono l’oggetto, e da ultimo, dalla considerazione che si rivelerebbe difficilmente compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva (articolo 53, comma 1, della Costituzione) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (articolo 97, comma 1, della Costituzione) un sistema legislativo che, radicalmente negando la rettificabilità della dichiarazione, si proponesse di sottoporre il contribuente dichiarante, sulla base di tale atto, ad un prelievo fiscale sostanzialmente e legalmente indebito”.

Tanto premesso, la sentenza in commento, richiamato l’importante principio di emendabilità della dichiarazione, individua, tuttavia, un limite alla ritrattabilità della dichiarazione. Tale limite consiste nella circostanza che la dichiarazione risulti frutto di un errore, testuale o extratestuale, di fatto o di diritto, e che tale errore sia allegato, specificato e provato.

In particolare, i giudici di legittimità hanno precisato che “il legislatore attribuisce al contribuente la facoltà di optare tra dichiarare un valore uguale o superiore a quello determinato sulla base del criterio automatico (così ponendo un limite al potere di rettifica dell’Amministrazione), oppure dichiarare un valore inferiore (esponendosi al suddetto potere di rettifica), dovendo perciò ritenersi che la richiesta del contribuente di emendare la propria dichiarazione su questo punto non sia altro che una richiesta di esercitare nuovamente l’opzione offerta dal legislatore, ma a”posteriori” cioè quando la precedente opzione si sia, come in questo caso, rivelata meno favorevole (per avere l’Amministrazione accertato un valore superiore a quello derivante dall’applicazione del criterio automatico)”.

Tale enunciazione evidenzia che gli errori od omissioni rettificabili dal contribuente sono solo quelli che attengono alla dichiarazione in quanto atto di scienza. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui la normativa fiscale consente al contribuente di esercitare una scelta dispositiva, quale, ad esempio, l’esercizio di un’opzione offerta dal legislatore, tale scelta, anche se inserita in una dichiarazione di scienza, costituisce una manifestazione di volontà che, in quanto tale, vincola il contribuente e non può essere modificata con la rettifica della dichiarazione.

La conclusione cui è giunta la Cassazione è conforme all’orientamento giurisprudenziale di legittimità espresso con riferimento a tributi diversi dall’Invim. In particolare, ai fini Iva, la Suprema corte aveva già avuto modo di precisare che “se è pur vero…che, in generale la dichiarazione del contribuente, anche ai fini Iva, è in linea di principio rettificabile, è altrettanto vero che lo è (solo) in quanto atto di scienza e non di volontà (quale si configura nella parte in cui il contribuente esprime l’intenzione di fruire di un regime anziché di un altro)” (cfr Cassazione, 28 ottobre 2004, n. 22567; Cassazione, 27 marzo 1997, n. 2732; Cassazione, 19 settembre 1997, n. 9310).


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