In tema di poteri istruttori attribuiti d'ufficio al giudice tributario, l'ordine di depositare documenti ritenuti necessari, di cui all'articolo 7, comma 3, del Dlgs n. 546 del 1992, rappresenta una norma di natura eccezionale, che non può essere utilizzata come rimedio ordinario per colmare le lacune probatorie delle parti. In tal senso, infatti, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d'ufficio le prove a fronte del mancato assolvimento dell'onere probatorio.
Quanto precede emerge dalla sentenza n. 366 del 30 novembre 2005, depositata l'11 gennaio 2006, con cui la Corte di cassazione, nel considerare il predetto ordine impartito dal giudice tributario una mera facoltà dello stesso avente natura discrezionale, ha affermato che la disposizioni contenute nel citato articolo 7 devono essere ritenute di carattere eccezionale, altrimenti risulterebbe violato il principio dispositivo (articolo 115 c.p.c.) su cui si fonda il processo tributario.
La natura potestativa del rapporto di imposta e l'esigenza di speditezza fanno sì che il processo tributario si fondi essenzialmente su prove documentali, per cui non sono ammessi il giuramento decisorio o suppletorio e la prova testimoniale. Il legislatore, dettando le disposizioni contenute nel predetto articolo 7, recante appunto disposizioni sui poteri delle Commissioni tributarie, ha già di fatto attenuato la natura inquisitoria del processo tributario conferendo allo stesso un carattere prevalentemente dispositivo, per cui il giudice tributario ha ampio spazio ai fini istruttori e circa i limiti dei fatti dedotti dalle parti processuali. Pertanto, nel considerare il rito tributario fondamentalmente scritto e non orale nella cui dinamica il legislatore non ha ritenuto opportuno inserire la prova testimoniale (articolo 7, comma 4, Dlgs 546/92), il divieto di tale istituto nel processo tributario è di fatto un divieto di carattere meramente processuale.
Com'è noto, l'articolo 7, comma 3, del Dlgs n. 546 del 1992, dispone che la Commissione tributaria può ordinare, in ogni momento, alle parti il deposito di documenti di qualunque tipo che assuma rilevanza ai fini della decisione(1).
Tale disposizione, quindi, attribuisce al giudice tributario la facoltà di ordinare alle parti "il deposito" di documenti ritenuti necessari e, in quanto tale, il suo esercizio ha natura discrezionale e non è sindacabile in sede di legittimità. In ogni caso, l'articolo 7 costituisce una norma che non può essere utilizzata e invocata quale rimedio per le lacune probatorie delle parti(2).
Con il conferimento di ampi poteri istruttori delle Commissioni tributarie si consente l'instaurazione di una corretta dialettica processuale ovvero la parità delle posizioni processuali in modo che entrambe le parti possono svolgere le proprie pretese. L'articolo 7 del Dlgs n. 546 del 1992 attribuisce alle Commissioni tributari gli stessi poteri riconosciuti agli uffici in sede di accertamento (ad esempio, accesso a luoghi al fine di verificare una certa circostanza; richiesta motivata di dati, informazioni e chiarimenti). E' da sottolineare che, in senso innovativo, il citato articolo 7 configura la consulenza tecnica d'ufficio come mezzo istruttorio non alternativo alle relazioni tecniche scritte che, in genere, si richiedono alle strutture tecniche statali.
Nella fattispecie portata al vaglio della Corte di cassazione, la contribuente ha impugnato l'avviso di accertamento con il quale l'ufficio finanziario aveva rettificato il valore finale di un immobile compravenduto, insistendo per la conferma del dichiarato. La Commissione di primo grado non ha accolto il ricorso proposto dalla contribuente e tale decisione veniva riformata dalla Commissione tributaria regionale che - dato atto che l'ufficio del Registro non aveva ottemperato all'acquisizione di copia della stima dell'Ufficio tecnico erariale, così come disposto con ordinanza dalla stessa Commissione di primo grado - riduceva il valore finale accertato del 30 per cento.
Nel ricorso per cassazione, la contribuente ha eccepito la violazione dell'articolo 7 del Dlgs 546/92 in quanto i giudici dell'appello, nel disporre l'acquisizione agli atti di copia della stima dell'Ute a cui faceva rinvio per relationem l'avviso di accertamento senza allegarne copia come previsto dal citato articolo 7, ha di fatto supplito all'inerzia probatoria dell'ufficio.
I giudici di legittimità hanno affermato, tuttavia, che nel caso de quo la prova della pretesa creditoria sul maggior valore accertato non è stata fornita dalla parte onerata né a tale carenza poteva supplire la Commissione, rilevando che l'articolo 7 in esame costituisce una norma eccezionale che non può essere utilizzata come rimedio ordinatorio per sopperire alle lacune probatorie manifestate dalla parti. Infatti, il giudice non è tenuto ad acquisire d'ufficio le prove in caso di mancato assolvimento dell'onere probatorio salvo che sia impossibile o sommamente difficile esercitarlo.
Ove venisse accolta la tesi dell'obbligatorietà del rimedio ordinario contenuto nell'articolo 7, la suprema Corte ha ritenuto, come già rilevato, che risulterebbe violato il principio dispositivo che pervade il giudizio tributario e altresì eluso il rispetto dei termini di deposito documentale stabiliti dall'articolo 32 del Dlgs 546/92, ritenuti perentori ai fini della garanzia dei diritti di difesa.
I giudici di legittimità hanno affermato, altresì, che non a caso la recente miniriforma del contenzioso approvata con il decreto legge n. 203 del 2005, convertito dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha soppresso la disposizione in esame (articolo 7), eliminando ogni possibile limitazione all'importante principio di legalità sancito dall'articolo 2697 c.c., che impone l'indicazione dei presupposti di fatto del credito fiscale controverso.
La Corte di cassazione, nel porre in evidenza che non vi era alcuna esigenza di acquisizione di ufficio della stima dell'Ute in quanto non ritenuto un documento di impossibile o disagevole produzione, ha ritenuto che la prova non è stata fornita perché l'ufficio finanziario non ha ottemperato all'ordinanza della Commissione tributaria, che non ha potuto quindi controllare gli elementi in base ai quali erano stati rettificati i valori.
In conclusione, la suprema Corte ha accolto il ricorso della contribuente - la quale non soddisfatta della riduzione del valore aveva chiesto la cassazione della sentenza di merito - e ha cassato senza rinvio la sentenza dei giudici di appello, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto sul punto (non allegazione della stima dell'Ute), stante la mancanza di prova sugli elementi che hanno determinato la rettifica fiscale dell'immobile.
La medesima Corte ha comunque disatteso di fatto le doglianze della contribuente circa l'eccezione relativa all'inottemperanza dell'ordine dato dai giudici di primo grado all'ufficio ai fini dell'acquisizione della stima dell'Ute, ponendo dei limiti ai poteri istruttori d'ufficio del giudice di merito a cui, nel caso specifico, è stata riconosciuta una ampia facoltà discrezionale attraverso una mera interpretazione letterale della norma di legge.
Relativamente all'argomento in esame, la giurisprudenza ha affermato che il potere riconosciuto alle Commissioni tributarie di richiedere la produzione di dati, informazioni, chiarimenti e documenti, non rappresenta violazione del diritto di difesa garantito dalla Costituzione o limitazione dei poteri attribuiti agli uffici finanziari, atteso che una volta che tale potere sia stato esercitato e che, di conseguenza, siano stati acquisiti al processo documenti prima non prodotti, tutte le parti possono difendersi ed eventualmente contestare la loro rilevanza o validità(3).
NOTE
1. Circolare ministeriale 23 aprile 1996, n. 98/E. L'Amministrazione finanziaria ha chiarito che rientrano tra i documenti che è possibile richiedere ai contribuenti aventi una notevole importanza le scritture contabili, la regolare tenuta delle quali è prevista dalla legge come obbligo per molti contribuenti. Il rifiuto di esibire i documenti richiesti può essere interpretato dal giudice in senso negativo alla parte, in applicazione del principio analogo contenuto negli articoli 116 e 118 del c.p.c.
2. Cfr. Cass 4 maggio 2004, n. 8439; n. 7129 del 2003; n. 7678 del 2002; n. 1701 del 2001; n. 14624 del 2000.
3. In tal senso, Cass. 8 agosto 2003, n. 11981. Il contribuente che non abbia ottemperato all'invito dell'ufficio, finalizzato all'acquisizione di dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento, e non abbia esibito nei termini la documentazione richiesta, ha facoltà di produrli in sede contenziosa, atteso che non è applicabile l'articolo 53 del Dpr n. 633/72 in materia d'Iva, che riveste carattere di eccezionalità.
L'ordine del giudice di produrre documenti è norma di carattere eccezionale
La Ct non è tenuta ad acquisire d'ufficio le prove a fronte del mancato assolvimento dell'onere probatorio
