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Giurisprudenza

L’originale non è obbligatorio
se non c’è l’ordine del giudice

Non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili

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La circostanza che in sede giurisdizionale una parte contesti la conformità agli originali delle copie fotostatiche dei documenti relativi ad una notificazione non implica, in assenza di un ordine in tal senso da parte del giudice, che la prova debba necessariamente darsi con la produzione degli originali.
Questo il principio confermato dalla Cassazione con ordinanza n. 23095 del 22 ottobre 2020 in cui si osserva altresì che, in queste ipotesi, il giudice non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, ma deve valutare le difformità contestate alla luce dei complessivi elementi istruttori disponibili.

La vicenda processuale
Un contribuente impugnava vittoriosamente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Siracusa otto cartelle di pagamento.
Il verdetto veniva confermato dalla Ctr della Sicilia, che ribadiva il vizio insanabile della notificazione degli atti in parola osservando che l’Agente della riscossione, a fronte delle contestazioni sollevate dall’interessato avverso le copie fotostatiche delle relate di notifica, non aveva prodotto in giudizio i relativi originali.
Ricorrendo in sede di legittimità, l’ente della riscossione censurava la decisione impugnata laddove la stessa aveva ritenuto assolutamente necessaria la produzione delle cartelle di pagamento e delle relazioni di notificazione in originale, rilevando in particolare che le relate erano state prodotte in giudizio in copia, anche perché gli originali non erano stati richiesti né dal contribuente, né dal giudice tributario.

La pronuncia della Corte
I togati di piazza Cavour hanno accolto il gravame osservando che la circostanza che l’interessato abbia contestato la conformità agli originali delle copie fotostatiche dei documenti che attestano il compimento di una notificazione non implica indefettibilmente, in assenza di un ordine in tal senso impartito dal giudice, che la prova debba necessariamente darsi con la produzione degli originali.
In queste ipotesi, ricorda il supremo Collegio, il giudice che escluda l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, “non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva…”.
Nella fattispecie, chiosa la pronuncia in commento, detti accertamenti sono stati omessi dal giudice di seconde cure, che erroneamente ha ritenuto necessaria la produzione dell’originale delle relazioni di notifica delle cartelle di pagamento, senza tener conto, da un lato, che nessuna richiesta in tal senso era stata avanzata dal contribuente e che in ogni caso detta prova “può essere ordinariamente fornita anche mediante copia fotostatica, fornita o meno di attestazione di conformità all’originale”.
Dall’accoglimento del ricorso è scaturita la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al medesimo collegio regionale di merito, per l’eventuale prosieguo del contenzioso.

Osservazioni
In materia di efficacia probatoria di copie fotografiche o fotostatiche di scritture si registra una corposa produzione giurisprudenziale, sia di merito che di legittimità.
In particolare, secondo il consolidato orientamento della suprema Corte, l’articolo 2719 del codice civile – a norma del quale dette copie “hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta” – esige l’espresso disconoscimento della conformità della copia rispetto all’originale e si applica, oltre che a tale fattispecie, anche al disconoscimento dell’autenticità di scrittura o di sottoscrizione (cfr tra innumerevoli, da ultimo, Cassazione nn. 22577, 15842, 13038, 12757, tutte del 2020).
Sul punto, essenzialmente al fine di evitare un utilizzo indiscriminato e pretestuoso del disconoscimento di cui si discute, il Collegio di nomofilachìa ha inoltre reiteratamente affermato che la contestazione della conformità di un documento prodotto in copia al relativo originale non può avvenire con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata a pena di inefficacia in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume che la copia differisce dall’originale (cfr Cassazione nn. 21491, 19855, 17834, 13387, del 2020).

Infine, e proprio con riferimento a fattispecie identica a quella di cui all’ordinanza in commento, gli ermellini del Palazzaccio sono concordi nel ritenere che, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento recanti il numero identificativo della cartella, e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’articolo 2719 cc, il giudice che ritenga di escludere l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, “attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso” (cfr Cassazione nn. 21585, 15641, 4537, tutte dell’anno in corso).

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