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Giurisprudenza

L’uso fraudolento di credit card,
non invalida la cessione di beni

Al centro del procedimento comunitario e della questione pregiudiziale sollevata dal giudice a quo l’interpretazione di norme relative a due direttive europee

carta di credito
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla interpretazione della direttiva 2006/112/CE ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una società che vende articoli elettrici all’Amministrazione finanziaria inglese, in ordine al rifiuto opposto da quest’ultima alla domanda di rimborso presentata da tale società, relativa all’Iva dichiarata e assolta in relazione a una serie di operazioni.
 
La fattispecie e le questioni pregiudiziali
Una società che vende articoli elettrici (di seguito Società A) è legata ad un’altra società emittente carte di credito (di seguito società B) da una convenzione, in forza della quale, in caso di utilizzo, da parte dei clienti, di una carta di credito emessa come strumento di pagamento, la società A era tenuta ad accettare tale carta e la società B si impegnava, nel rispetto delle procedure previste, a versare alla società A il prezzo dei beni acquistati dal cliente con la carta al netto di una commissione.
 
La posizione del Fisco britannico
Dopo aver assolto l’Iva relativa ad una serie di operazioni effettuate tra il 2005 ed il 2008, la società A chiedeva il rimborso di tale imposta all’Amministrazione fiscale britannica, che respingeva tale richiesta.
Contro la decisione dell’Amministrazione fiscale britannica, la società A adiva la competente  autorità giurisdizionale con riferimento a operazioni pagate mediante carta di credito per le quali, benchè sia emerso che tali operazioni siano state effettuate con carte utilizzate in modo fraudolento, la società A ha ricevuto, nel rispetto delle procedure previste dalla convenzione stipulata, il pagamento del relativo prezzo da parte della società B.
 
Il ricorso alla Corte di giustizia dell’Ue
Ciò posto, il giudice ‘a quo’ ha sollevato dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea alcune questioni pregiudiziali. In particolare ha chiesto, in sostanza, due cose:
  • se il trasferimento fisico di un bene a un acquirente che utilizzi in modo fraudolento una carta di credito, quale strumento di pagamento, costituisca una cessione di beni secondo gli articoli 5 e 14 della direttiva 2006/112;
  • se, nell’ambito di tale cessione, il pagamento effettuato da un terzo, in attuazione di una convenzione stipulata tra quest’ultimo ed il fornitore di tale bene, in base al quale il terzo si sia impegnato a pagare tale fornitore i beni venduti da questo ad acquirenti che utilizzano tale carta di credito come strumento di pagamento, costituisca un corrispettivo secondo gli articoli 11 della sesta direttiva e 73 della direttiva 2006/112.
 
L’interpretazione dei giudici comunitari
Con riferimento alla nozione di trasferimento ai sensi della sesta direttiva e della Direttiva 2006/112, la Corte UE ha precisato quanto segue. In base a consolidata giurisprudenza della Corte UE, la nozione di cessione di beni della Direttiva 2006/112 non si riferisce al trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale vigente, ma comprende qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata  da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di tale bene come se fosse il proprietario. Tale nozione riveste carattere obiettivo e non occorre che l’amministrazione finanziaria accerti  la volontà del soggetto passivo o tenga conto dell’intenzione di un operatore, diverso da tale soggetto passivo, che intervenga nella stessa catena di cessioni.
 
Validità delle operazioni e assenza di frode
Da ciò deriva che le operazioni quali quelle oggetto della controversia in esame costituiscono cessioni di  beni in base alla nozione prevista dalla direttiva 2006/112/CEE, in quanto soddisfano i criteri oggettivi sui quali è basata tale nozione e non sono viziate da frode Iva.
A tal proposito, non risulta sia stata posta in essere una frode fiscale nell’ambito di tali operazioni, posto che l’Iva relativa a tali operazioni è stata regolarmente assolta dalla società A.
Pertanto, si rileva l’esistenza di un trasferimento, ai sensi della direttiva 2006/112, tra la società A  ed i suoi clienti, nonostante questi ultimi abbiano utilizzato fraudolentemente una carta di credito come strumento di pagamento per pagare il prezzo dei beni ceduti dalla società A.
Con riferimento alla connessa questione della configurabilità, nel caso di specie, di un corrispettivo ai sensi degli articoli 11 della sesta direttiva e 73 della direttiva 2006/112, la Corte UE ha precisato che una cessione di beni si ritiene effettuata a titolo oneroso soltanto quando tra il fornitore e l’utente intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso ricevuto dal fornitore costituisca il controvalore effettivo del bene ceduto all’utente.
 
L’uso della carta di credito
Nel caso in cui un acquirente paghi il prezzo della merce tramite carta di credito, si è al cospetto di due operazioni, vale a dire, da un lato la vendita del bene da parte di un fornitore, che include nel calcolo del prezzo totale da lui preteso anche l’Iva che deve essere pagata dall’acquirente come consumatore finale e percepita da tale fornitore per conto dell’Erario, e dall’altro, la prestazione di servizi da parte dell’emittente della carta nei confronti del fornitore.
Tale ultima prestazione consiste, tra l’altro, nella garanzia di pagamento della merce acquistata con la carta, e nella promozione degli affari del fornitore mediante la possibilità di procurarsi nuova clientela.
La circostanza che l’acquirente non abbia pagato direttamente al fornitore il prezzo convenuto, ma tramite l’emittente della carta, nonché le modalità di pagamento applicate nei rapporti tra acquirente e fornitore non possono incidere sulla base imponibile. La disciplina comunitaria dettata dalla sesta Direttiva e dalla Direttiva 2006/112, non esige, affinchè una cessione di beni o prestazione di servizi possa ritenersi effettuata a titolo oneroso, che il corrispettivo di tali prestazioni sia versato direttamente dal destinatario di queste ultime. Da ciò deriva che la circostanza che il prezzo dei beni ceduti dalla società A nell’ambito delle operazioni oggetto della controversia in esame sia stato versato da terzi, non può condurre alla conclusione che il pagamento non costituisca il corrispettivo ottenuto dalla società A per la cessione dei beni.
 
Le conclusioni della Corte Ue
Tutto ciò promesso, la Corte dell’Unione europea perviene alla conclusione che gli articoli 2 e 11 della sesta direttiva, nonché 2, 14 e 73 della direttiva 2006/112 devono essere intrepretati nel senso che il trasferimento fisico di un bene ad un acquirente che utilizzi fraudolentemente una carta di credito come strumento di pagamento, costituisce una cessione di beni, e che nell’ambito di tale cessione, il pagamento effettuato da un terzo, in attuazione di una convenzione stipulata tra quest’ultimo ed il fornitore del bene, in base alla quale il terzo si sia impegnato a pagare al fornitore i beni da questo venduti ad acquirenti che utilizzino detta carta di credito come strumento di pagamento, costituisce un corrispettivo, ai sensi dei citati articoli 11 e 73.
 
       
 
Fonte:
Data della sentenza
21 novembre 2013
Numero della causa
C‑494/12
Nome delle parti
  • Dixons Retail plc
contro
  • Agenzia britannica delle Entrate
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