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Giurisprudenza

L’utilizzo “virtuale” del deposito Iva
non ammette sospensione d’imposta

Se le merci extra-Ue non hanno mai “albergato” fisicamente nel magazzino, l’obbligazione fiscale per la società importatrice sorge in dogana e non al momento dell’estrazione contabile del bene

immagine di merce su carrelli aeroportuali

Nel caso di utilizzo solo “virtuale” del deposito Iva, se il soggetto passivo ha beneficiato del regime di sospensione, versando l’imposta tramite reverse charge all’atto dell’estrazione dei beni dal deposito e non in dogana al momento dell’importazione, si configura una violazione di natura formale, consistente nel tardivo versamento dell’imposta. Spetta al giudice di merito la valutazione finale del carattere proporzionato della sanzione.
Questo il contenuto dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 26649 del 18 ottobre 2019.

I fatti
Il caso riguarda l’avviso di accertamento emesso dall’amministrazione fiscale per la ripresa a tassazione dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione non corrisposta sulle merci, per l’uso “virtuale” del deposito Iva da parte della società importatrice. Questa, infatti, aveva irregolarmente fruito del deposito per non aver immesso fisicamente i beni all’interno dello stesso e da qui è scaturita la ripresa a tassazione dell’imposta e la comminazione delle relative sanzioni.
Il ricorso proposto dalla contribuente è stato accolto dalla Ctp e la sentenza confermata dalla Commissione tributaria regionale. A parere dei giudici d’appello, avendo la società provato la corretta applicazione del meccanismo del reverse charge nonostante l’utilizzo “virtuale” del deposito, la pretesa erariale in termini di imposta e sanzioni risultava illegittima.

L’Agenzia ha proposto ricorso in cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 50-bis, comma 5 del Dl n. 331/1993 e 70 del Dpr n. 633/1972.
A parere dell’ufficio la Ctr, ammettendo la possibilità dell’utilizzo puramente virtuale del deposito Iva, ossia il suo utilizzo esclusivamente contabile senza introduzione fisica della merce in deposito, non avrebbero considerato la debenza delle sanzioni connesse all’irregolarità dell’operazione commerciale alla stregua dei principi espressi dalla Corte di giustizia Ue nella causa C-272/13 (sentenza Equoland).

I giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il motivo di doglianza e accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, con rinvio a diversa sezione della Commissione regionale.

La decisione
Come noto i depositi Iva sono luoghi fisici concepiti per agevolare gli scambi di beni in ambito intracomunitario (o di beni provenienti da Paesi terzi preventivamente immessi in libera pratica), rendendo possibile trasferire la merce da un Paese membro all’altro evitando di assoggettare a imposta i singoli passaggi. Infatti, per determinate operazioni effettuate mediante “l'introduzione” dei beni nel deposito, l’Iva è assolta – se dovuta- dall’acquirente finale solo al momento dell’estrazione dei beni dal deposito.
Se i beni estratti sono destinati a essere utilizzati o commercializzati nel territorio dello Stato, il soggetto passivo d’imposta procede all’assolvimento dell’Iva mediante il meccanismo del reverse charge, previsto dall’articolo 50-bis del Dl n. 331/1993. In buona sostanza l’operatore che procede all’estrazione integra il documento di acquisto che è stato emesso nei suoi confronti senza addebito dell’Iva, provvedendo a determinare la base imponibile e ad applicare la relativa imposta.

La controversia in commento si sviluppa attorno all’ipotesi in cui le merci, nel caso di specie di provenienza extra-Ue già immesse in libera pratica, non sono introdotte fisicamente nel deposito Iva ma soltanto virtualmente, vale a dire mediante la mera iscrizione contabile nel registro di magazzino del depositario, e della relativa legittimità a usufruire del sistema di sospensione del versamento dell’imposta al passaggio in dogana.
Sul caso i giudici della Corte di cassazione hanno smentito la decisione della Ctr affermando che l’utilizzo solo virtuale del deposito Iva non integra una violazione meramente formale bensì comporta l’applicazione del sistema sanzionatorio per l’irregolare utilizzo del deposito stesso.
In altre parole è stato confermato che, ai fini del regime sospensivo dell’Iva all’importazione, è necessario l’effettivo inserimento della merce nel deposito Iva con la conseguenza che, in caso di mancato immagazzinamento, l’obbligazione fiscale concernente l’Iva all’importazione sorge in dogana e non al momento dell’estrazione contabile del bene dal deposito.
Sotto il profilo sanzionatorio, i giudici della Cassazione hanno sancito che la sanzione applicabile all’importatore, che si avvale del sistema di sospensione del versamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, senza tuttavia immettere materialmente nel deposito Iva la merce, va individuata nel “paradigma normativo di cui all’art. 13 del d.lgs. 472/1997, a nulla rilevando il contenuto precettivo dell’art. 70 del D.P.R. 633 del 1972.”
Tale sanzione deve essere applicata nel rispetto del principio di proporzionalità, tenendo conto del tempo intercorso fra l’omesso versamento dell’Iva all’importazione e l’eventuale assolvimento dell’Iva interna all’atto dell’estrazione della merce, spettando al giudice di merito la valutazione finale del carattere proporzionato della sanzione.

La posizione dell’Agenzia delle entrate
Sul tema l’Agenzia delle entrate si è espressa con la circolare n. 12/2015, in cui è stata affrontata anche la questione della mancata introduzione delle merci in magazzino. Al riguardo sono stati richiamati i principi espressi dalla Corte di giustizia Ue nella sentenza del 17 luglio 2014, causa C-272/13 (sentenza Equoland), in cui gli eurogiudici si sono espressi circa i requisiti previsti dalla normativa comunitaria in relazione alla corretta applicazione del regime dei depositi Iva.
In primo luogo, l’Agenzia delle entrate “ritiene che non si debba procedere alla richiesta dell'imposta già assolta mediante reverse charge, a condizione, da accertare caso per caso, che non sussista evasione o tentativo di evasione”.
Con riferimento all’aspetto sanzionatorio l’Amministrazione finanziaria ha affermato che la norma sui ritardati versamenti d’imposta, prevista dall’articolo 13 del Dlgs n.471/1997, può essere graduata dall’istituto del ravvedimento operoso (articolo 13 del D.lgs. 472/1997) che “consente una gradazione della misura della sanzione nell’ipotesi in cui il comportamento del soggetto passivo non sia considerato grave, condizione che si verifica nel caso in cui il ritardo nel pagamento non sia superiore a quindici giorni”.

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