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Giurisprudenza

Manca anche il nesso logico-giuridico:
pronuncia cassata per ultrapetizione

Il giudice può trattare anche questioni non espressamente prospettate nel ricorso, a patto che possano essere considerate tacitamente proposte perché strettamente collegate a quelle indicate

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Con l’ordinanza 16767 del 6 agosto 2020, la Cassazione accoglie il ricorso dall’Agenzia delle entrate e rinvia alla Ctr, per vizio di ultrapetizione, la sentenza con cui il tribunale regionale ha annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti di un calzaturificio per mancanza assoluta di qualsiasi motivazione, ossia per un vizio che non era stato fatto valere dal contribuente.

L’iter giudiziario
La vicenda nasce dal ricorso proposto da un calzaturificio avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate con il quale l’ufficio recuperava Ires, Irap e Iva, anno d’imposta 2004, relative ai costi sostenuti per la produzione di calzature antinfortunistiche, ritenuti dal Fisco indebitamente dedotti perché connessi ad attività illecite (articolo 14, comma 4-bis, legge n. 537/1993). In particolare, la ditta aveva contrassegnato con marchio made in Italy le suole delle scarpe, anche se in realtà le tomaie erano state prodotte all’estero e, nello specifico, in India e Romania, incorrendo così nel reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (articolo 517 cp; articolo 4, comma 49, legge n. 350/2003).

La contribuente vinceva nel giudizio di primo e secondo grado. La sentenza della Ctr, portata in Cassazione dall’amministrazione finanziaria, pur riconoscendo, in contrasto con la linea difensiva adottata dalla ricorrente, la colpevolezza del calzaturificio per il reato contestato (anche se ormai prescritto) e l’indeducibilità delle spese a esso connesse, interveniva in merito alla tassabilità dei soli costi riguardanti la produzione “mendace” e non di quelli connessi all’attività legale e concludeva che, nell’ambito della distinzione tra le due tipologie di spese, l’avviso di accertamento era “assolutamente carente”, tanto da giustificarne l’annullamento per difetto assoluto di motivazione.

L’Agenzia delle entrate ricorre in Cassazione e chiede, con il primo dei tre motivi, la cancellazione della sentenza della Ctr, per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (articolo 112 cpc in relazione all’articolo 360, 1° comma, n. 4, cpc). La Commissione tributaria regionale, rileva l’amministrazione finanziaria, aveva, infatti, annullato l’avviso per mancanza assoluta di motivazione riguardo alla indeducibilità di costi riferiti alla produzione illecita, quando invece la contribuente aveva impugnato il provvedimento perché contestava il reato stesso rilevato dagli accertatori. Il calzaturificio evidenziava, tra l’altro, che nessun costo di produzione era rinviabile a una condotta penalmente rilevante, che nello specifico si concretizzava nella sola apposizione della scrittura made in Italy sulle suole.
Con il secondo motivo l’Agenzia sottolinea che, a differenza di quanto affermato nella sentenza contestata, l’avviso notificato distingueva le somme deducibili da quelle imponibili e illustrava i presupposti di fatto e di diritto della pretesa tributaria.
Infine, l’ufficio controbatte alla decisione della Ctr mettendo l’accento sul mancato esame, da parte della Commissione, dell’avviso di accertamento, del processo verbale di constatazione e dei suoi allegati, atti dai quali emerge che la pretesa tributaria non era certamente carente riguardo alla distinzione tra uscite finanziarie rinviabili al reato e costi attinenti la regolare attività della società. Inoltre, il Tribunale di secondo grado aveva del tutto trascurato che il recupero delle imposte operato dall’ufficio non riguardava l’intero ammontare dei costi sostenuti dalla società, ma solo quelli collegati all’illecito, oltre a una quota forfetaria pari al 60% delle spese generali, attribuibili sia all’attività illegale sia a quella legale.

La decisione
La Cassazione, dopo aver precisato che il primo motivo del ricorso dell’amministrazione finanziaria è fondato con conseguente assorbimento degli altri, ricorda, in prima battuta, che, secondo l’orientamento della Corte, il vizio di ultrapetizione non ricorre quando il giudice prende in considerazione una questione che seppur non menzionata esplicitamente nel ricorso è tuttavia da ritenersi tacitamente proposta perché strettamente connessa con quelle specificatamente indicate delle quali costituisce l'antecedente logico e giuridico (Cassazione, pronunce nn. 13964/2019, 2372/2007 5134/2004).
Non è questo il caso della vicenda in commento.

Nella controversia esaminata, osservano i giudici di legittimità, la Ctp aveva annullato l’avviso di accertamento perché aveva ritenuto non applicabile alla situazione accertata dal Fisco l’articolo 14, comma 4-bis, della legge 2n. 537/1993 nella formulazione vigente ratione temporis, che recita “Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti”.
L’ordinanza rileva, inoltre, che il calzaturificio, nel ricorso introduttivo, non aveva chiesto l’annullamento dell’avviso di accertamento perché non motivato, né il fatto era stato contestato in appello in occasione del quale la società, con apposita memoria, aveva fondato la sua difesa puntando sull’ambito applicativo del richiamato articolo 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993.
In conclusione, la sentenza della Commissione tributaria regionale, affermano i giudici di piazza Cavour, pecca di ultrapezione perché ha annullato il provvedimento dell’amministrazione finanziaria per mancanza assoluta di motivazione e, quindi, per un vizio che non era stato contestato dalla ricorrente e che non poteva essere considerato in un rapporto di connessione logico-giuridica con i rilievi esplicitamente espressi dalla società.
Di conseguenza, la Corte decide per la cassazione della sentenza contestata dal Fisco rinviando la controversia alla Ctr in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

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