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Giurisprudenza

Mancata esibizione di documenti:
è legittimo l’analitico-induttivo

Se non si dà seguito al questionario o si snobba l’invito a comparire, l’ufficio finanziario può a buon diritto utilizzare presunzioni gravi, precise e concordanti

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Un’ulteriore pronuncia di legittimità (sentenza n. 17968/2013) confermativa della giurisprudenza di Cassazione che aveva già affermato nella sentenza - citata da questa in commento - 28 settembre 2005, n. 19014, che la mancata esibizione dei documenti richiesti dall’ufficio finanziario legittima l’accertamento analitico-induttivo.
 
Infatti, in tema di determinazione del reddito imponibile, l’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr n. 600/1973 per le imposte dirette, e l’articolo 54 del Dpr n. 633/1972 per l’Iva, dispongono che l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti, ossia non soltanto in base ai dati che con maggior affidabilità legittimano soltanto gli accertamenti previsti dalle precedenti tre lettere del primo comma citato.
 
Le cennate presunzioni qualificate possono fondare tale accertamento nelle ipotesi che l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulti dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui al precedente articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa, nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dal precedente articolo 32.
 
Nella controversia oggetto della decisione in rassegna, una società presentava un volume di acquisti, al netto dei beni strumentali, maggiore del volume d’affari, con l’effetto di evidenziare crediti d’imposta a proprio favore e, perciò, seppure invitata a fornire dati sulla gestione dell’attività aziendale e a esibire la documentazione, non avendo ottemperato a tale obbligo entro 15 giorni dalla richiesta, è risultata destinataria di avviso di accertamento emesso ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d).
 
Nessun dubbio sulla correttezza della redazione dell’avviso di accertamento in base al metodo analitico-induttivo, a nulla rilevando (come ritenuto decisivo, invece, dal giudice di merito) che la contabilità aziendale fosse formalmente regolare, in quanto emergeva - comunque - un’antieconomicità della gestione economica scaturente dalla rilevante sproporzione dei ricavi rispetto al costo delle materie prime impiegate.
 
Pertanto, i giudici di legittimità hanno ritenuto che le presunzioni, alimentate dalla ravvisata antieconomicità “dei caratteri” dell’attività oggetto di accertamento, per l’incongruità dei ricavi in relazione al costo sostenuto per l’acquisto della merce venduta, potessero - di per sé - essere sufficienti a fornire la prova dell’esistenza di ricavi non dichiarati, demandando al giudice di merito la verifica dell’idoneità del ricarico minimo del 39% sul costo della merce utilizzata in quel periodo d’imposta rispetto all’insufficienza del ricarico del 37% dichiarato dalla società sul costo del venduto.
 
La decisione della Corte regolatrice del diritto appare nella specie condivisibile; aggiungiamo solo che, indipendentemente da quanto osservato dalla citata sentenza, la lettera d-bis) del secondo comma dell’articolo 39, del Dpr n. 600/1973, la quale (aggiunta dall’articolo 25, comma 3, della legge 18 febbraio 1999, n. 28) legittima l’accertamento in base alle presunzioni anche carenti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, proprio a seguito dell’inadempimento realizzato dalla società contribuente per effetto anche soltanto della mancata risposta agli inviti a comparire presso l’ufficio finanziario.
 
Infatti, la novella disciplina procedimentale dispone l’attivazione dell’accertamento induttivo puro allorquando il contribuente non avesse dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’articolo 32, comma 1, numeri 3) e 4), del decreto del 1973 o dell’articolo 51, comma 2, numeri 3) e 4), del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di imposta sul valore aggiunto.
 
Rileviamo, peraltro, che la giurisprudenza di Cassazione ha ritenuto nella sentenza - citata da questa in commento - 25 maggio 2007, n. 12262, che la mancata risposta del contribuente a un questionario inviatogli dall’ufficio non rientrava, prima dell’introduzione della cennata lettera d-bis) all’articolo 39, comma 2, tra le ipotesi legittimanti l’applicazione di tale metodo induttivo, in quanto la normativa citata del 1999 non poteva essere considerata retroattiva.
 
 
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
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