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Giurisprudenza

Il mancato accantonamento pro Iva
rende colpevole l’ex amministratore

Chi riscuote l’imposta a seguito di operazioni imponibili riceve risorse finanziarie che è tenuto a mettere da parte in modo da adempiere tempestivamente alla propria obbligazione tributaria

Risponde del reato di omesso versamento dell’Iva (articolo 10-ter del Dlgs 74/2000) l’amministratore che non accantona le somme necessarie al pagamento dell’imposta, anche se cessato dalla carica prima della scadenza per il pagamento.
 
Il procedimento penale
Nell’ambito di un procedimento penale per varie ipotesi di bancarotta, nonché reati tributari in relazione alle vicende fallimentari di una società per azioni, gli imputati venivano condannati a vario titolo dal Gup del Tribunale di Firenze.
In secondo grado, la Corte d’appello accoglieva parzialmente il ricorso proposto dagli imputati e confermava, in particolare, la responsabilità penale del presidente del consiglio di amministrazione della società, in relazione all’omesso versamento dell’Iva per l’anno d’imposta 2009, ritenendo a questi imputabile l’omissione degli accantonamenti necessari a far fronte al pagamento dell’imposta benché cessato dalla carica prima della scadenza del termine per l’adempimento.
 
La decisione della Cassazione
Con la sentenza 45308 del 9 ottobre 2018, la suprema Corte ha confermato definitivamente la condanna nei confronti dell’amministratore della società e, aderendo alla statuizione della Corte d’appello, ha ritenuto correttamente ricostruita la natura giuridica del reato contestato e compiutamente esposti gli indicatori di partecipazione dell’imputato nella consumazione della fattispecie dell’omesso versamento dell’Iva.
 
Nel ricorso in sede di legittimità, l’imputato sosteneva che non potesse essergli ascritto il reato di omesso versamento Iva, essendo cessato dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione successivamente alla presentazione della dichiarazione annuale, ma anteriormente alla scadenza del pagamento del debito di imposta.
 
Secondo la Cassazione, la censura non è fondata alla luce del consolidato orientamento per cui “non risponde del reato di omesso versamento di Iva chi, pur avendo presentato la dichiarazione annuale, non è poi tenuto, anche per fatti sopravvenuti, al pagamento dell'imposta nel termine previsto dall’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, salvo che il pubblico ministero non dimostri che il soggetto abbia inequivocabilmente preordinato la condotta rispetto all’omissione del versamento (ad esempio, dismettendo artatamente la carica di amministratore della persona giuridica soggetto Iva), ovvero abbia fornito un contributo causale, materiale o morale, da valutarsi a norma dell’art. 110 cod. pen., all’omissione della persona obbligata, al momento della scadenza, al versamento dell'imposta dichiarata (Sez. 3, Sentenza n.53158 del 02/07/2014, Lombardi, Rv. 261596, N. 38687 del 2014 Rv. 260390)”.
 
Nella fattispecie, il contributo causale è ravvisabile nel mancato accantonamento delle somme necessarie al tempestivo pagamento del debito Iva: quest’ultimo insorge, infatti, a seguito del compimento di operazioni imponibili in cui il soggetto passivo riscuote dall’acquirente del bene o dal committente del servizio l’Iva dovuta, ricevendo risorse finanziarie che ha l’onere di accantonare in modo da adempiere alla propria obbligazione tributaria nei confronti dell’erario.
Peraltro, la Cassazione evidenzia come il liquidatore, pur essendo il soggetto formalmente obbligato al versamento, fosse stato assolto in appello per via dell’esiguità dell’arco temporale in cui ha rivestito la carica, indice della ragionevole riconducibilità della situazione di insolvenza al precedente amministratore.
 
Osservazioni
Su tale questione è utile ricordare che il reato di omesso versamento si connota normalmente per uno sfasamento temporale tra presentazione della dichiarazione e momento consumativo del reato.
Ciò dal fatto che il delitto di omesso versamento dell’Iva (articolo 10-ter, Dlgs 74/2000) è un reato a condotta non esclusivamente omissiva, ma “mista” (in parte attiva e in parte omissiva), in cui la componente attiva è riconducibile alla presentazione, da parte del soggetto obbligato, della dichiarazione annuale Iva da cui emerga un debito di imposta superiore alla soglia di 50mila euro, mentre quella omissiva – su cui è incentrato l’intero disvalore della fattispecie – è rappresentata dall’omesso versamento dell’Iva liquidata nella predetta dichiarazione.
 
Quindi, in caso di successione nella carica di amministratore o legale rappresentante di società successivamente alla presentazione della dichiarazione di imposta e anteriormente alla scadenza del termine per il versamento, in via generale sussiste la responsabilità di colui che succede nella carica in tale lasso temporale. E ciò soprattutto in quei casi in cui il debito fiscale non sia remoto e/o occulto perché esposto nella dichiarazione presentata: sarebbe infatti sufficiente, prima di assumere la carica di amministratore, chiedere in visione la dichiarazione e l’attestato di versamento all’erario dell’Iva a debito per poter adempiere nel termine stabilito al pagamento dell’obbligazione tributaria (cfr Cassazione nn. 34927/2015 e 39687/2014). A meno che, tuttavia, non sia dimostrata l’esistenza di un’inequivoca preordinazione soggettiva della condotta rispetto all’omissione penalmente rilevante (quale, ad esempio, un fatto volontario finalizzato alla dismissione della carica di amministratore) oppure l’esistenza, come nel caso di specie, di un contributo causale, materiale o morale (da valutarsi a norma dell’articolo 110 cp) da parte di ha presentato la dichiarazione all’omissione di chi, al momento della scadenza, sia obbligato al versamento dell’imposta dichiarata (cfr Cassazione nn. 53158/2014 e 12248/2014).
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