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Giurisprudenza

Per il marito perquisito, "nei guai" anche la moglie

Legittimo l'utilizzo ai fini fiscali dei documenti acquisiti durante la perquisizione domiciliare penale a carico di altro soggetto

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La documentazione acquisita a seguito di perquisizione nel domicilio del marito soggetto a indagini penali può essere legittimamente recepita dal Fisco, ai propri fini, per emettere atti accertativi nei confronti della moglie. È questo, in estrema sintesi, il principio contenuto nella sentenza n. 22119 del 22 ottobre 2007, con cui la Corte di cassazione è tornata a occuparsi della questione della utilizzabilità dei documenti acquisiti a seguito di perquisizione domiciliare autorizzata nel corso di indagini penali svolte nei confronti di un altro soggetto.

La controversia è scaturita dall'impugnazione, da parte della contribuente, di due avvisi di irrogazione sanzioni, emessi dal locale ufficio Iva per mancata emissione di scontrini fiscali, risultante da processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza.
In particolare, la ricorrente deduceva l'illegittimità dell'accertamento, riguardo alle modalità di acquisizione, da parte della polizia tributaria, di documenti sequestrati a seguito di perquisizione domiciliare autorizzata nell'ambito di una indagine penale.

La domanda veniva accolta in primo grado per ritenuta illegittimità dell'avviso sotto l'aspetto formale.
La Commissione tributaria regionale accoglieva l'appello dell'ufficio, sostenendo che i documenti (agende appartenute alla contribuente) da cui traevano origine i dati contestati erano stati legittimamente utilizzati, che i conseguenti avvisi di irrogazione delle sanzioni erano validi e sufficientemente motivati e che non erano state giustificate le annotazioni contenute sulle agende.

Da qui, il ricorso per Cassazione della contribuente, la quale - deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 52 e 63 del Dpr 633/1972 ("legge Iva") e degli articoli 247, 250 e 370 del Codice di procedura penale - rilevava la carenza assoluta di motivazione della sentenza in relazione all'eccezione relativa all'asserita illegittima acquisizione delle agende, punto decisivo della controversia.

Nel respingere il ricorso della contribuente, la Cassazione ha ritenuto legittimo l'operato dell'ufficio, affermando che le agende erano state "debitamente" (legittimamente) recepite dall'ufficio e che i dati significativi in esse contenuti potevano essere utilizzati a scopi fiscali, in quanto costituenti notizie "comunque" conosciute dall'ufficio stesso.

In particolare, i Supremi giudici hanno evidenziato che: "la Guardia di finanza in funzione di polizia tributaria, non acquisì direttamente le agende procedendo senza autorizzazione a perquisizione domiciliare, bensì le ebbe nelle mani per effetto di dissequestro disposto in sede penale: caso in cui l'utilizzazione dei documenti non è assoggettata dalla legge ad ulteriore autorizzazione, non essendo necessaria una perquisizione domiciliare per acquisirli e, pertanto, non ricorrendo l'ipotesi, costituzionalmente protetta, di violazione del domicilio privato".

Ne consegue che, conclude la Corte, non può ritenersi messo a rischio il buon andamento delle indagini penali, che l'autorizzazione prevista dall'articolo 63, primo comma, Dpr 633/1972 intende tutelare, in quanto l'autorità giudiziaria competente, disponendo il dissequestro dei documenti, li ha "espunti definitivamente dal novero delle prove ritenute utili ai fini penali".

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