La Corte di cassazione, con la sentenza 12276 del 12 giugno 2015, ha confermato che la ristretta compagine sociale e il rapporto di stretta contiguità familiare costituiscono elementi sintomatici della riferibilità alla società accertata delle somme movimentate sui conti intestati ai soci, o anche ai loro congiunti, salvo prova contraria.
L’accesso a tali conti non è precluso dalla disposizione dell’articolo 51, comma 2, n. 7, Dpr 633/1972 (vigente ratione temporis), in quanto la norma non prevede alcuna limitazione all’attività di indagine, nel senso di circoscrivere l’analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati al titolare dell’azienda individuale o alla società.
I fatti di causa
La vicenda processuale trae origine da un avviso di accertamento per l’anno di imposta 1993, con il quale l’ufficio recuperava a tassazione l’Iva non dichiarata e non versata, per effetto di una serie di violazioni rilevate dai verbalizzanti all’esito dell’esame della contabilità aziendale e sulla base del riscontro, ai sensi del Dpr 633/1972, articolo 51, di movimentazioni non giustificate sui conti bancari dell’amministratore della società e dei suoi familiari.
Avverso l’atto impositivo veniva proposto ricorso dinanzi alla Ctp di Potenza, che accoglieva parzialmente le ragioni del contribuente.
La Ctr dichiarava inammissibile l’appello dell’ufficio, con sentenza da quest’ultimo impugnata in Cassazione, la quale provvedeva a cassarla con rinvio ad altra sezione della Ctr competente per territorio.
In particolare, la Commissione tributaria regionale della Basilicata rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo che le movimentazioni riscontrate dai verbalizzanti sui conti bancari intestati all’amministratore e ai suoi familiari non fossero sufficienti a consentire all’Amministrazione finanziaria di imputare alla società l’imposta evasa.
L’ufficio ricorreva in Cassazione lamentando (ex articolo 360, comma 1, n. 3, cpc) la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 51 del Dpr 633/1972. In concreto, la ricorrente sosteneva la legittimità dell’estensione delle indagini bancarie ai conti intestati all’amministratore o ai soci, e anche ai loro stretti congiunti, in quanto la ridotta compagine sociale, facente capo a un unico gruppo familiare, lasciava presumere la riferibilità alla stessa delle risultanze delle indagini.
La pronuncia della Cassazione
I giudici di legittimità, con la sentenza in rassegna, hanno accolto le doglianze dell’ufficio, reputando legittima l’imputazione alla società delle movimentazioni bancarie riscontrate sui conti dell’amministratore e dei suoi familiari, non risultando forniti da questi ultimi elementi di prova di segno contrario, idonei a superare la presunzione legale di cui all’articolo 51, comma 2, n. 2, Dpr 633/1972.
In particolare, la suprema Corte ha ribadito che la presunzione, “in virtù della quale le movimentazioni bancarie di denaro, risultanti dai dati acquisiti dall'Ufficio, si presumono conseguenza di operazioni imponibili, può essere vinta dal contribuente solo qualora il medesimo offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, ovvero che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. 9573/2007; 21132/2011; 1418/2013)”. Pertanto, è onere del contribuente superare detta presunzione legale, non con una prova generica, ma con “la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero della loro estraneità alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale delle stesse (Cass. 1739/2007; 13818/2007; 9146/2010; 21303/2013)”.
Tanto premesso, la Cassazione, entrando nel merito della questione, ha precisato che le indagini bancarie possono essere estese anche a conti intestati formalmente a terzi, in quanto la disposizione contenuta nel richiamato articolo 51, secondo cui gli uffici finanziari e la Guardia di finanza, previa autorizzazione degli organi a ciò deputati, possono richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non prevede alcuna limitazione all’attività di indagine volta al contrasto dell’evasione fiscale.
Anzi, “le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società contribuente delle somme movimentate sui conti intestati ai soci, o anche ai loro congiunti, ben possono, invero, essere giustificati da alcuni elementi sintomatici come il rapporto di stretta contiguità familiare, l'ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l'infedeltà della dichiarazione e l'attività di impresa compatibile con la produzione di utili, incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova che le ingenti somme rinvenute sui conti dei soci o dei loro familiari non siano ad essa riferibili (Cass. 374/2009; 26173/2011; 5849/2012; 20668/2014; 26829/2014)”.
Sulla base di queste considerazioni, i giudici di legittimità hanno ritenuto elemento fortemente presuntivo la circostanza che, nel caso in esame, la società di capitali fosse connotata da una ristretta compagine sociale, in quanto, in tali casi, “è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci, e perfino dei loro familiari, debbano - in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario - ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (cfr. Cass. 18083/2010; 12624/2012; 12625/2012; 26829/2014)”.
La sentenza 12276/2015 si allinea all’orientamento espresso di recente dalla suprema Corte, la quale, in più occasioni, ha avuto modo di precisare che lo stretto rapporto familiare, la ristretta compagine sociale o i particolari legami di tipo contrattuale sono sufficienti a giustificare la riferibilità alla società accertata delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati ai soci, in quanto la particolare relazione esistente è idonea a far presumere, salvo facoltà di provare la diversa origine delle entrate, “la sostanziale sovrapposizione degli interessi personali e societari, nonché ad identificare in concreto gli interessi economici perseguiti dalla società con quelli stessi dei soci” (cfr Cassazione nn. 4152/2015 e 10386/2014).
In tal modo, la Cassazione ha mutato il proprio precedente convincimento che non ammetteva la possibilità per l’ufficio di chiedere agli istituti bancari notizie sui conti bancari intestati a persone diverse dal soggetto accertato, “salvo che l'ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l'intestazione a terzi è fittizia o comunque, in relazione alle circostanze del caso concreto, della sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti” (cfr Cassazione nn. 16345/2012 e 20199/2010).
Un mix d’interessi privati e sociali
libera le indagini da ogni limite
Tocca al contribuente poi spiegare il perché dell’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, rilevata dall’andamento dei loro depositi
