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Giurisprudenza

Monetizzazione dell’opera incompleta,
profitto che può essere sequestrato

Valida la confisca preventiva nei confronti degli indagati che hanno abusato della disciplina dei bonus edilizi attraverso la creazione e la successiva cessione di crediti inesistenti

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Integra il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti la condotta di chi monetizza il credito derivante da fatturazione in acconto di spese relative ad opere non ultimate. I crediti di imposta generati dalle fatture false costituiscono il profitto del reato e possono essere oggetto di sequestro ex articolo12-bis Dlgs n. 74/2000.

Con la sentenza n. 42012 del 2022 la terza sezione penale della Corte di cassazione ha confermato il sequestro preventivo emesso dal Gip nell’ambito di un’indagine per reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e truffa aggravata ai danni dello Stato, disposto su quote e azioni di due società, nonché su crediti d’imposta nella disponibilità delle stesse e su quelli dalle stesse ceduti, anche presso terzi cessionari. Quanto ai crediti d’imposta è stato richiesto il blocco sul portale dell’Agenzia delle entrate e la contestuale riduzione del plafond dei crediti fiscali compensabili nei rispettivi cassetti fiscali.

Avverso il provvedimento di sequestro, e la successiva ordinanza di rigetto del tribunale del riesame, gli imputati avevano dedotto, tra le altre, l’inesistenza del fumus del reato di cui all’articolo 8, Dlgs n. 74/2000, precisando che le fatture di cui trattasi erano state emesse in acconto, prima della materiale esecuzione dei lavori, come previsto dalla normativa in tema di eco-sisma bonus, e obiettando che non è possibile, quindi, parlare di operazioni inesistenti solo perché parte dei lavori non sono stati eseguiti alla data della fattura.

La Suprema corte ritiene analiticamente ricostruito il meccanismo fraudolento messo in opera dagli indagati che, utilizzando società a loro riferibili, abusando della disciplina delle detrazioni fiscali prevista per gli interventi di ristrutturazione edilizia, avevano tratto illecito profitto dalla creazione e successiva cessione a terzi di crediti d’imposta inesistenti.

La sentenza ribadisce la sussistenza del fumus del delitto di fatturazione per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 8 Dlgs n. 74/2020: l’emissione delle fatture false, simulando l’esistenza delle spese sostenute, ha creato il presupposto costitutivo del diritto alla detrazione.
Nel dettaglio, è stato accertato che le società degli indagati avevano emesso fatture “reciprocamente l’una nei confronti dell’altra”, per importi rilevanti e pari alla quasi totalità dei costi. Tali fatture costituiscono la fonte dei considerevoli crediti di imposta di cui le società risultano beneficiarie, che hanno formato oggetto sia di reciproche compravenditi, sia di ulteriori cessioni ad altri soggetti. Tutte le fatture emesse reciprocamente dalle due società sono fatture di acconto, relative a lavori ancora da completare, e sono state emesse tutte in poche giornate nell’arco di un ristretto periodo temporale. Inoltre, a fronte di dichiarazione di cessione sulla piattaforma web da parte delle società indagate in relazione ad interventi edilizi per importi rilevanti, è stata riscontrata l’assenza dei relativi titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori.
Sostengono i giudici che i crediti di imposta sono inesistenti nella realtà, ma esistenti sulla carta e idonei all’utilizzo fiscale e ciò rende astrattamente configurabile il reato contestato.
Secondo la Corte non ha alcuna rilevanza la prospettazione difensiva per cui si tratterebbe di fatture emesse in acconto rispetto alla materiale esecuzione dei lavori. In tal senso si specifica che “la fruizione dei bonus fiscali è indissolubilmente vincolata all’esecuzione completa degli interventi stessi, secondo quanto indicato nei relativi atti abilitativi e nei tempi previsti dagli stessi. Le agevolazioni sono infatti concesse per l’esecuzione di interventi edilizi: per questo i suddetti interventi devono essere completati, e sempre per questo – ad esempio – per un intervento di riduzione del rischio sismico con Sismabonus non è sufficiente ultimare le opere strutturali e collaudarle, ma occorre comunque terminare l'intervento per come dedotto nel titolo edilizio”.

La Cassazione delinea il principio generale per cui le spese, per poter essere detratte con i vari bonus, devono essere fatturate e pagate nel periodo di vigenza, quindi entro la scadenza. In applicazione del criterio di cassa si consente, per i lavori non ancora completati al termine del periodo d’imposta, di portare le spese in detrazione già nell’anno successivo (spese 2021 già detraibili nella dichiarazione 2022 sui redditi 2021), con la conseguenza che ove in successivi controlli si riscontri la mancata fine dei lavori, i benefici già fruiti verrebbero revocati (interrogazione fornita dal Mef il 17/11/2021 in Commissione VI alla Camera, risposta n. 5-07055).  In linea generale, pertanto, è possibile anticipare i pagamenti anche per lavori da eseguirsi, (fermo restando la revoca successiva in caso di mancato termine dei lavori) quando si deve semplicemente portare la spesa in detrazione.

I giudici di legittimità precisano, però, che il discorso muta quando si intende sfruttare la possibilità di monetizzare subito il credito, tramite cessione o sconto in fattura, ai sensi dell’articolo 121 Dl n. 34/2020. Tale opportunità è, infatti, consentita a fine lavori o “a stato di avanzamento” (SAL), previa emissione del SAL stesso da parte di un tecnico. Dalla definizione di SAL, fornita dall’articolo 14, comma 1, lettera d) del dm infrastrutture e trasporti n.49/2018 per cui lo “Stato di avanzamento lavori” è il documento che riassume tutte le lavorazioni e tutte le somministrazioni eseguite dal principio dell’appalto sino ad allora, la Corte conclude che non possono essere incluse nel SAL le lavorazioni che, seppure fatturate e pagate, non sono state eseguite. Ne consegue che non deve essere rilasciato il visto di conformità relativamente a cessioni di crediti in presenza di lavorazioni o somministrazioni non ancora eseguite.

Così premesso, la Cassazione esclude l’operatività dell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, non può essere disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni dell'emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall'utilizzatore delle fatture medesime, poiché l’articolo 9 Dlgs n. 74/2000, escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale, impedisce l'applicazione del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo.

La Corte ribadisce, infatti, che nel caso di specie il sequestro non è stato compiuto nei confronti delle sole società emittenti le fatture per operazioni inesistenti poiché le società “hanno emesso fatture, reciprocamente l'una nei confronti dell'altra, per importi rilevanti e pari alla quasi totalità dei costi”. Il sequestro non ha colpito (solo) le società emittenti, ma anche quelle che si sono avvalse delle fatture, conseguendo il profitto per effetto della cessione.
In conclusione, i crediti di imposta generati dalle fatture false, costituendo il profitto del reato, possono essere oggetto di sequestro ex articolo 12-bis, Dlgs n. 74/2000.

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