La motivazione contenente “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” di merito, relativa a un accertamento avente a oggetto la contestata natura non lucrativa di una società sportiva dilettantistica, non è apparente anche se sintetica. Pertanto, non può essere dichiarata la nullità della decisione (Cassazione, ordinanza n. 23781/2023)
Il giudizio relativo a un accertamento avente a oggetto la contestata natura non lucrativa delle società sportive dilettantistiche necessita di una motivazione relativa agli indici presuntivi da cui sia possibile desumere che l’ente esercita, in verità, un’attività prevalentemente commerciale e, comunque, che lo stesso è privo dei requisiti agevolativi riservati dalla legge alle predette società, con la conseguenza che la decisione motivata, anche concisamente, con riferimento a tali indici, non può essere ritenuta nulla sotto il profilo del difetto di motivazione o della motivazione apparente.
Il fatto e la vicenda processuale
La controversia riguarda degli avvisi di accertamento relativi all’anno 2010, con cui l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato gli imponibili ai fini Ires, Irap e Iva a carico di una società sportiva dilettantistica, calcolando le omesse ritenute a titolo di sostituto d’imposta e applicando le sanzioni, con apposito ulteriore atto di contestazione. Gli atti impositivi scaturivano da un processo verbale di constatazione, con cui era stata contestata la natura non commerciale dell’ente, prevista dall’articolo 148 del Tuir, con conseguente esclusione delle agevolazioni fiscali e ricalcolo degli elementi attivi e passivi.
L’ente ha adito la Ctp di Como, che ha rigettato il ricorso. A seguito di appello, la Ctr della Lombardia ha confermato la decisione di primo grado, riconoscendo, così come già il giudice provinciale, l’indebita collocazione dell’associazione tra gli enti non commerciali, finalizzata a beneficiare del trattamento fiscale di favore previsto dalle leggi 398/1991 e 289/2002, avendo rilevato come dagli esiti degli accertamenti fosse emerso che l’attività svolta non risultava conforme alle disposizioni di legge, elencando dettagliatamente le carenze e le irregolarità della struttura, della posizione degli associati, della natura dell’attività concretamente svolta dall’associazione, nonché della regolarità della tenuta delle scritture contabili, che complessivamente evidenziavano inequivoci aspetti di natura commerciale.
La decisione della Cassazione
Su impulso dell’associazione raggiunta dall’accertamento, la vertenza è finita all’esame della suprema Corte di Cassazione.
L’associazione ha censurato la decisione di secondo grado con un unico motivo, denunciando l’apparenza della motivazione della sentenza e la sua conseguente nullità. Il supremo Collegio ha rigettato il ricorso, ritenendo che il giudice del gravame avesse “dettagliatamente riportato le ragioni addotte da ciascuna delle parti nei rispettivi atti difensivi” e che avesse “evidenziato che con l’atto di impugnazione le questioni” erano “state oggetto di ulteriori approfondimenti, in diritto e nel merito”, avendo rilevato come “l’ordinamento dell’Associazione non fosse conforme alle regole evincibili dall’art. 148, comma 8, del d.P.R. n. 917 del 1986” ed avesse altresì “dettagliatamente spiegato le violazioni ed irregolarità rilevate”, con la conseguenza, che la decisione di merito doveva ritenersi “corredata da una motivazione chiara, analitica, sufficiente, che esula pertanto da critiche riconducibili al vizio dell’apparente motivazione”..
Ancora una volta, con l’ordinanza in esame la Corte di legittimità ha affrontato il tema della motivazione apparente della decisione. A tal proposito, rammentiamo che, secondo un ormai consolidato orientamento delle sezioni unite della Cassazione, la decisione deve ritenersi nulla, in quanto apparente, allorquando “pur essendo graficamente (e quindi materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (cfr Cassazione, sezioni unite, pronunce nn. 22232/2016; n. 8053/2014 e n. 5888/1992).
Il principio cardine, per cui i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati, è particolarmente delicato, trattandosi di un tema di rilevanza costituzionale, essendo tale principio posto dall’articolo 111 della Carta costituzionale, in attuazione del quale l’articolo 132, comma I, n. 4) cpc statuisce, con riguardo alla sentenza, che quest’ultima deve contenere “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” e l’articolo 134 cpc, con riferimento all’ordinanza, dispone che la stessa è “succintamente motivata”. Con particolare riferimento alla materia tributaria, poi, l’articolo 36, comma II, n. 4), del Dlgs n. 546/1992, stabilisce che la sentenza deve contenere “la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto”. Anche nel codice di procedura penale l’articolo 546, in modo analogo, seppur con un maggior riguardo ai criteri di valutazione probatoria, statuisce che la sentenza deve contenere “la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie […]”. Non fa eccezione il codice del processo amministrativo, che all’articolo 88, comma II, lettera d), statuisce che la sentenza deve contenere “la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi”.
Tutto l’ordinamento processuale ha recepito, quindi, il dettame costituzionale, che impone la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, introducendo il canone della concisione, non presente invero nella Carta costituzionale. Ora, se ciò sia un bene o un male è tutt’altro che scontato.
Occorre, in primis, comunque tener presente che il requisito della “motivazione concisa” non dovrebbe ricondurre alla mente né una motivazione sbrigativa né una motivazione incomprensibile, perché la ratio ispiratrice dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti è proprio quella di rendere chiaro il ragionamento del giudice, al fine di consentirne la critica in sede di impugnazione.
Chiarito ciò, ritornando al caso concreto, attinente alla riconducibilità di un’associazione sportiva a un’attività senza scopo di lucro ovvero a un’impresa commerciale, è opportuno rammentare che compito precipuo del giudice di merito, ai fini della valutazione circa la correttezza o meno degli atti impositivi impugnati, era di valutare se l’associazione non svolgesse attività commerciale, in base alle stringenti condizioni imposte dall’articolo 148, comma 8, del Tuir.
Tenuto conto della norma ora richiamata, la Cassazione ha ritenuto, che, nel caso in esame, l’obbligo motivazionale sia stato ben assolto dal giudice di merito, avendo quest’ultimo rilevato che “nessun associato o iscritto al libro soci era iscritto alla Libertas, federazione cui la ricorrente era formalmente iscritta; di contro gli unici tre nominativi indicati dalla ricorrente non erano presenti nel libro soci; non vi era traccia di partecipazione a gare e incontri sportivi, risultando altre le attività prevalenti; l’attività esercitata era riconducibile a quella tipica commerciale, di offerta ai frequentatori di prestazioni a pagamento; risultava irregolare anche la tenuta delle scritture contabili, né i maggiori costi esposti avevano riscontri; risultava corretto anche l’ammontare delle sanzioni”.
In sostanza, il supremo Collegio non ha ritenuto sussistente, nella motivazione del giudice di merito, seppur estremamente concisa, la denunciata nullità della sentenza sotto il profilo della motivazione apparente, in quanto le irregolarità riscontrate rispetto a quanto imposto dai dettami dell’articolo 148 Tuir apparivano più che sufficienti ai fini della declaratoria di legittimità degli accertamenti impugnati.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, si può in conclusione affermare che, nel caso, la concisione della motivazione della sentenza può essere accettabile nella misura in cui dalla decisione sia evincibile la ratio decidendi alla luce degli elementi normativi che regolano la fattispecie. Laddove, invece, il ragionamento del giudice non avesse reso chiaro il processo di sussunzione del caso concreto nella fattispecie astratta, così appalesando le ragioni del sillogismo giudiziale, si sarebbe avuta una motivazione apparente, incomprensibile o apodittica, e quindi causa di nullità della sentenza.
Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)