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Giurisprudenza

Motivazione e prova. Un confine davvero sottile

La “consistenza giuridica” delle conclusioni cui sono giunti i giudici fiorentini in una recente sentenza

avvocato
Con la sentenza n. 70/16/06, depositata il 21/2/2007, la Ctr Toscana, respingendo l’appello dell’Amministrazione, ha ritenuto che l’ufficio non avesse fornito alcuna prova che la società rientrasse nel meccanismo frodatorio contestato (relativo a una vicenda di operazioni inesistenti) che dava origine all’accertamento. La Commissione tributaria ha raggiunto tale conclusione sulla base della considerazione che i pvc richiamati nel corso del giudizio (a carico di soggetti terzi rispetto al contribuente verificato) non erano stati messi a disposizione dei giudici, non potendo assumere alcuna valenza probatoria il richiamo alle affermazioni o ad altri documenti contenuti nel processo verbale di constatazione redatto dalla GdF di Finanza (questo, però presente agli atti del processo) che a sua volta si rifà ad altri PV riguardanti terzi e non portati a conoscenza del contribuente.

Critica delle conclusioni
Il contribuente aveva in particolare eccepito che la mancata allegazione dei pvc richiamati nell’atto di accertamento comportava l’illegittimità dell’accertamento, in quanto motivato per relationem a pvc non conosciuti dal contribuente.

Le conclusioni dei giudici non appaiono giuridicamente corrette.
Il problema, a ben vedere, a differenza di quanto emerge dal dispositivo della sentenza della Ctr, non riguardava la motivazione dell’accertamento, ma semmai la prova dei fatti contestati.
Laddove, infatti, l’accertamento già fornisca una sua autonoma motivazione (poi magari ulteriormente circostanziata, come possibile, nel corso del contenzioso), non è in realtà neppure corretto parlare di motivazione per relationem.

In sede di accertamento, non deve essere fornita la prova della pretesa fiscale, ma semplicemente la motivazione della medesima pretesa.
In quella sede, vista la funzione dell’avviso di mera provocatio ad opponendum, è sufficiente che tale motivazione sia adeguata.

La prova, invece, può (e deve) essere fornita in sede processuale.
Nella sede, cioè, in cui la prova svolge la propria funzione: “convincere” il giudice.
La prova dei fatti dedotti a sostegno della pretesa, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza della Cassazione, non è richiesta come elemento costitutivo della pretesa, ma deve essere fornita solo in sede processuale.

Difetto di motivazione e difetto probatorio
Il giudice di secondo grado, quindi, nel caso di specie, non doveva valutare se vi fosse o meno una legittima motivazione per relationem, ma piuttosto se il fatto che non fossero stati prodotti i processi verbali di constatazione già richiamati dal medesimo pvc, da cui scaturiva l’accertamento, potesse comportare una limitazione probatoria talmente grave da inficiare la sostenibilità in giudizio della correttezza dell’atto impositivo (eccezione attinente, perciò, alla prova della pretesa e non alla sua legittimità).
Una tale mancanza poteva avere riflessi in ordine alla forza probatoria relativa alle contestazioni sollevate dall’ufficio, che, mancando alcuni elementi, poteva anche essere ritenuta insufficiente.

La Ctr, però, partendo dall’assunto dell’esistenza di una motivazione per relationem, non parla di prova insufficiente, ma di prova inesistente (alcuna prova), facendone derivare così la illegittimità dell’avviso.
In pratica la Commissione lega (rectius: confonde) l’insufficienza probatoria alla (con la) validità della motivazione, ritenendo che tale insufficienza fosse talmente grave da comportare l’inesistenza di una qualsiasi prova e, quindi, finanche l’inadeguatezza della motivazione sottesa all’accertamento. Tale conclusione, seppur indubbiamente sottile, deve però essere considerata infondata, almeno laddove costituisca una mera affermazione di principio.

Suddivisione dell’onere della prova e giudizio di merito
Tale circostanza è tanto più evidente, poi, nel caso in cui il rilievo dell’Amministrazione finanziaria attenga al recupero di costi illecitamente dedotti o di illecite detrazioni Iva (come nel caso di specie, in quanto relative a operazioni ritenute soggettivamente inesistenti).
In questi casi, infatti, la valutazione della prova dovrà anche tenere conto dei rispettivi ruoli delle parti, ex articolo 2697 Cc.
Nel caso, infatti, di contestazione relativa alla pretesa indeducibilità o indetraibilità, l’onere di fornire la prova della deducibilità del costo o della detraibilità dell’Iva spetta al contribuente.

In conclusione, nel caso esaminato dalla citata sentenza, essendo stato effettivamente allegato il pvc richiamato nell’avviso (pvc che, a sua volta, faceva riferimento ad altri processi verbali) ed essendo stata fornita una motivazione già in sede di accertamento, la Ctr (tenendo conto anche della reciproca suddivisione fra le parti dell’onere della prova) poteva anche ritenere la prova fornita dall’ufficio insufficiente, accogliendo l’alternativa (e provata) ricostruzione dei fatti prospettata dal contribuente, ma non la poteva certo ritenere del tutto “inesistente”, con conseguente illegittimità dell’accertamento per difetto di motivazione.

In sostanza, non è ammissibile l’equiparazione automatica tra mancanza di prova e difetto di motivazione e il giudice di merito dovrà, comunque, prendere una chiara posizione in ordine alla prevalenza (e al perché di tale giudizio) della ricostruzione del contribuente o dell’ufficio.
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