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Giurisprudenza

Motivazione per relationem,
cartella di pagamento valida

Se emessa sulla base di una decisione giurisdizionale, il requisito può ritenersi correttamente assolto attraverso il semplice richiamo al documento e la contestuale allegazione dell’atto presupposto

nuovi incarichi

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 38116 del 29 dicembre 2022, rigettando il ricorso presentato dal contribuente, ha chiarito che la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata, con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati, attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori. Tale richiamo, infatti, soddisfa in pieno l’obbligo di motivazione prescritto dall’articolo 7 della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente) e dall’articolo 3 della legge n. 241/1990.

Sull’Amministrazione finanziaria grava un obbligo di motivazione rafforzato solo se la cartella di pagamento costituisce il primo atto notificato al contribuente e, quindi, atto impositivo.

Il caso di specie e il ricorso in Cassazione
Un contribuente impugnava dinanzi ai giudici tributari una cartella di pagamento concernente quanto dovuto, a seguito di precedente decisione giurisprudenziale, a titolo di Iva, oltre sanzioni, interessi e compensi per la riscossione. In particolare, il ricorrente lamentava un difetto di motivazione per la mancanza del computo degli interessi a lui richiesti.
Sia in primo che secondo grado, i magistrati tributari rigettavano i ricorsi presentati dal contribuente ritenendo che la motivazione relativa al calcolo degli interessi fosse stata effettuata in base alle norme di legge e osservando come il ricorrente avesse solo genericamente contestato la determinazione degli interessi senza prospettare un calcolo alternativo.

Avverso tali determinazioni, il contribuente proponeva ricorso di ultima istanza dinanzi la Corte di cassazione lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 3, comma 1, legge n. 241/1992, e 7, comma 1, legge n. 212/2000, laddove la sentenza impugnata ha ritenuto che il calcolo degli interessi fosse stato determinato in base a tassi previsti dalla legge.
A giudizio del ricorrente, infatti, la cartella di pagamento deve essere puntualmente motivata e deve consentire al contribuente di ricostruire precisamente la fonte e l’entità del credito. Nel suo caso, invece, nella cartella di pagamento compariva esclusivamente l’importo complessivo degli interessi dovuti, senza indicazione del capitale originario, delle aliquote e dei calcoli, con l’indicazione delle relative norme di riferimento, posti a base della determinazione di quanto dovuto per le varie annualità, rendendo così di fatto, a suo giudizio, non intellegibile il calcolo operato dall’ufficio.

Le norme contestate
Come visto, il ricorso di ultima istanza è stato presentato per violazione e falsa applicazione degli articoli 3, comma 1, legge n. 241/1992, e 7, comma 1, legge n. 212/2000.
Ai sensi della prima delle due norme citate ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato con l’indicazione, tra l’altro, dei presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
In base, invece, allo Statuto dei diritti del contribuente, adottato con la legge n. 212/2000 e, in particolare, al suo articolo 7, dettato in materia di chiarezza e motivazione degli atti, le determinazioni dell’Amministrazione finanziaria devono essere motivate proprio secondo quanto prescritto dall’articolo 3, comma 1, della legge n. 241/1990 e se nella motivazione si fa riferimento a un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.

La motivazione per relationem e la decisione della Corte
Pronunciandosi definitivamente sulla questione, i magistrati di piazza Cavour hanno dato torto al contribuente, rigettando il suo ricorso.
La Corte ha, infatti, chiarito, conformemente, tra l’altro, a pregressa giurisprudenza sul punto, “la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori”.
Tale richiamo, a giudizio dei giudici di legittimità, soddisfa pienamente gli obblighi motivazionali gravanti sull’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 7 dello Statuto del contribuente e dall’articolo 3 della legge n. 241/1990, essendo l’obbligo di motivazione rafforzato – con indicazione della base normativa degli interessi – previsto esclusivamente allorquando la cartella di pagamento costituisce il primo atto notificato al contribuente e, quindi, un vero e proprio atto impositivo.
E anche in questo caso, l’obbligo di motivazione rafforzato sussiste solo se effettivamente vi siano concrete ragioni per giustificarlo. Come, infatti, chiarito dalla decisione della medesima Corte n. 14054/2020, “sebbene in via generale la cartella esattoriale che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa”.

Nella vicenda oggetto della decisione in commento, la cartella di pagamento è stata emessa sulla base di una decisione giurisdizionale, per cui la motivazione può correttamente ritenersi assolta mediante il semplice richiamo con contestuale allegazione dell’atto presupposto. Nel caso di cartella che faccia seguito a un atto impositivo prodromico, hanno, infatti, ribadito i giudici di ultima istanza, l’obbligo di motivazione risulta meno pregnante in quanto lo stesso deve essere parametrato al grado di effettiva conoscenza che il contribuente possiede rispetto ai vari elementi destinati a comporre il credito vantato dal Fisco, conoscenza garantita dall’atto prodromico medesimo.

In conclusione, i giudici romani hanno sottolineato come i principi richiamati e posti a base della loro decisione debbano essere ritenuti ormai assodati, essendo stati per altro recentemente ribaditi con forza dalla pronuncia della stessa Corte di cassazione a sezioni unite n. 22281 del 14 luglio 2022.

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