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Giurisprudenza

Il mutuo surclassa il costo d’acquisto
Sì all’accertamento al valore normale

Ribadito il principio di diritto in base al quale la perizia di stima non è prova nel giudizio tributario. Le conclusioni in essa contenute possono configurarsi solo come meri indizi

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La tematica del rapporto tra valore normale di un bene immobile (appartamento) compravenduto e il relativo importo richiesto, dagli acquirenti, a titolo di mutuo è oggetto dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 7367 del 17 marzo 2020.
Con tale pronuncia, i supremi giudici hanno, in via preliminare, ripercorso sinteticamente la vicenda processuale nella quale una società immobiliare si era vista rigettare, dalle Commissioni di merito, sia il ricorso introduttivo di primo grado sia il successivo atto di appello. sulla base dei seguenti principi.

Il fatto
La contribuente aveva venduto appartamenti a corrispettivi differenti, pur con riferimento a medesime soluzioni abitative, ricevendo, per questo, un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2005 (ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 39 e 40 del Dpr n. 600/1973, 24 e 25 del Dpr n. 446/1997 e 54 del Dpr 633/1972), per aver registrato evidenti differenze tra i prezzi di vendita e i mutui stipulati dagli acquirenti (in particolare, uno dei cespiti era stato assicurato a un valore doppio rispetto all’originario prezzo di acquisto).
La ricostruzione del maggior reddito d’impresa ai fini Ires, Irap e Iva, effettuata dall’ufficio, era stata ritenuta legittima dalla Commissione tributaria provinciale di Parma.

La società appellava la pronuncia sfavorevole della Ctp di Parma sostenendone l’erroneità in quanto, tra l’altro, nella prassi commerciale e immobiliare è diffusa la scelta degli acquirenti di accendere mutui ipotecari d’importi superiori ai corrispettivi di acquisto, allo scopo di inglobare le spese notarili e/o afferenti gli arredi.
Inoltre, sosteneva che l’utilizzo del requisito del valore normale posto a confronto con il prezzo di vendita era infondato e, comunque, in contrasto con la normativa comunitaria.
Avverso la sentenza della Ctr dell’Emilia Romagna, con la quale non veniva accolto il gravame, la società ha proposto ricorso per cassazione, articolandolo su tre motivi di doglianza, a fronte del quale l’ufficio ha resistito con controricorso.

La pronuncia
I giudici di legittimità, nel decidere in relazione alle suindicate eccezioni, le hanno ritenute inammissibili e/o infondate per le seguenti ragioni.

Il primo motivo di ricorso – con il quale veniva evidenziata un’insufficiente motivazione della sentenza della Ctr in ragione dell’omessa valutazione dei risultati di una perizia tecnica stragiudiziale depositata solo in grado di appello – è stato ritenuto, per un verso, inammissibile (stante la sua genericità ed erroneità nel riferimento alle disposizioni normative che si assumono violate) e, nel merito, infondato in quanto è stato ribadito il principio di diritto in base al quale la perizia di stima non assume valore di prova nel giudizio tributario. Di conseguenza, le conclusioni in essa contenute possono configurarsi alla stregua di meri indizi (al pari di qualsivoglia documento proveniente da terzi) il cui esame è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito il quale potrebbe, in ogni caso, non tenerne conto (cfr Cassazione, sentenza n.33503/2018).

Anche il secondo motivo di doglianza – contraddittoria motivazione della pronuncia di secondo grado sul punto della legittimità dell’atto impositivo basato sull’analisi del valore normale (Dl 223/2006, legge Bersani) ritenuto in contrasto con la normativa Ue e la legge comunitaria 2008 – è stato ritenuto infondato partendo dall’assunto che l’accertamento dei maggiori corrispettivi delle cessioni degli immobili era basato su presunzioni semplici, ma corredate dai requisiti della gravità, precisione e concordanza (articoli 39 del Dpr n. 600/1973 e 54 del Dpr n. 633/1972).
Tali presunzioni si erano concentrate sulle evidenti discordanze tra prezzi di vendita e importi dei corrispondenti atti di mutuo nonché, in un caso, sul rilievo di un valore assicurato addirittura doppio rispetto al valore iniziale dell’appartamento compravenduto.

L’ufficio, sempre secondo la Cassazione, nel caso in esame, pertanto, ha fatto buongoverno delle disposizioni normative nazionali e comunitarie anche in riferimento all’articolo 54, comma 3, Dpr n. 633/1972 (così come riformulato dalla legge n. 88/2009 – Comunitaria 2008) con il quale è stato espunta – con effetto retroattivo – qualsiasi connessione alla stima basata sul valore normale nelle compravendite immobiliari.
Pertanto, la Cassazione conclude, sul punto, sostenendo che la prova dell’esistenza di attività non dichiarate, conseguenti a cessioni di cespiti immobiliari (nel caso di specie, unità abitative), possa essere ottenuta anche sulla base di presunzioni semplici purché, gravi, precisi e concordanti (accertamento induttivo) in applicazione del disposto di cui all’articolo 273 della direttiva 2006/112/Cee, emessa allo scopo di rendere uniforme, all’interno degli ordinamenti dei singoli Stati membri, la totale riscossione dei tributi armonizzati e garantire, in questo modo, l’efficacia della lotta all’evasione di dette imposte (cfr Cassazione, sentenze nn. 9453/2019 e 16266/2019).

Il terzo e ultimo motivo di ricorso – vizio di motivazione della sentenza della Ctr dipendente, a detta della controparte, dall’omesso vaglio della perizia tecnica di stima – è stato, anch’esso, ritenuto infondato sulla base delle medesime considerazioni svolte nel commento relativo alla prima eccezione del ricorrente.

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