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Giurisprudenza

Nel contratto manca un terreno?
È occultamento di corrispettivo

Legittimo l’avviso che ridetermina le imposte ipocatastali perché la stipula definitiva riporta un prezzo più basso di quello pattuito nel preliminare, giustificato dall’assenza di un fondo

terreno

La prova presuntiva dell'avvenuto occultamento del prezzo effettivamente corrisposto può essere rilevata da una serie di elementi univoci, precisi e concordanti, quali il valore superiore attribuito ai cespiti in una perizia di stima utilizzata dalle parti per fissare il prezzo del preliminare, il contratto di mutuo stipulato dalla società per un importo superiore al prezzo indicato nel definitivo, il breve lasso di tempo intercorso tra la stipula dei due contratti, tutte circostanze che, globalmente considerate, soddisfano i criteri di elevata probabilità logica della desumibilità del fatto principale ignoto dai fatti secondari noti.
 
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 30142 del 20 novembre scorso, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti in tema di accertamenti su compravendite immobiliari e occultamento di corrispettivo.
Nel caso di specie, il giudizio aveva a oggetto l'impugnazione da parte di una società, nella qualità di acquirente, di un avviso di rettifica e liquidazione, con il quale l'Agenzia delle entrate, ai fini dell'imposta di registro, ipotecaria e catastale, aveva rideterminato il valore di una compravendita immobiliare, relativa a vari cespiti, sulla base di un pvc che aveva rilevato un occultamento di corrispettivo, pari alla differenza tra il prezzo fissato nel contratto preliminare e quello riportato nel definitivo, stipulato pochi mesi dopo.
 
La Commissione di primo grado aveva accolto il ricorso della società acquirente, ritenendo giustificata la differenza di prezzo, per l'assenza nel contratto definitivo di un terreno di mq 12mila, presente invece nel preliminare.
 
La Commissione tributaria regionale riformava però la decisione, rilevando che gli elementi di prova offerti dall'ufficio, quali il breve lasso di tempo trascorso tra preliminare e definitivo, la perizia di stima, da cui risultava il valore superiore dei cespiti riportato nel preliminare, il contratto di mutuo stipulato dalla società ed il verbale di assemblea che deliberava l'acquisto per l'importo più elevato di cui al preliminare, costituissero circostanze gravi, precise e concordanti, sufficienti a provare, ex articolo 2729 codice civile, l'occultamento del prezzo.
 
Quanto poi alla prova contraria offerta dalla società, la Ctr rilevava che, a prescindere dalla sua destinazione, dagli atti risultava un terreno individuato da particelle catastali presenti sia nella perizia di stima che nei due contratti, preliminare e definitivo e dunque non vi era alcuna differenza.
Avverso la sentenza di appello la società contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, violazione e falsa applicazione dell'articolo 1372 codice civile, per avere la Ctr ritenuto che il contratto preliminare vincolasse le parti nel definitivo ai fini del prezzo, nonché violazione e falsa applicazione dell'articolo 2729 cc e insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, per l'assenza del ragionamento logico che aveva portato la Ctr a ritenere gli elementi utilizzati idonei a fondare una prova presuntiva.
 
Secondo la Suprema corte il ricorso era da respingere.
 
Inammissibile era la prima censura, in quanto non attinente alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che non aveva in nessuna sua parte esaminato la questione della sussistenza di vincoli, in relazione al prezzo, per i contraenti di un preliminare all'atto della stipula del definitivo, avendo posto a fondamento del decisum esclusivamente la presenza di elementi di fatto idonei a provare l'occultamento di corrispettivo posto a fondamento dell'atto di rettifica.
 
La seconda censura era invece infondata.
Evidenziano infatti i giudici di legittimità che, quanto alla corretta applicazione delle regole in tema di prova per presunzioni, nel processo tributario per la formazione della prova critica valgono i medesimi criteri di cui all'articolo 2729 cc, laddove la "precisione" va riferita all'indizio costituente il punto di partenza dell'inferenza e postula che esso sia ben determinato nella realtà storica; la "gravità" va ricollegata al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto, che, sulla base della regola d'esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto; e la "concordanza", infine, richiede che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza (cfr, Cassazione n. 15454/2019 e n. 2482/2019).
 
Indubbiamente, rileva la Corte, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri indicatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in sede di legittimità, competendo alla Cassazione controllare se la norma dell'articolo 2729 cc, oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell'applicazione a fattispecie concrete (Cassazione. n. 29635/2018 e n. 19485/2017).
 
Ma bisogna comunque considerare che nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, ovvero che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (id quod plerumque accidit).
 
Il giudice che ricorra alle presunzioni, nel risalire dal fatto noto a quello ignoto, deve quindi solo rendere apprezzabili i passaggi logici posti a base del proprio convincimento (Cassazione n. 14762/2019).
Tanto premesso, nella specie, la Ctr aveva fatto corretta applicazione della suindicata regola probatoria, in quanto aveva desunto la prova presuntiva dell'avvenuto occultamento del prezzo effettivamente corrisposto da una serie di elementi univoci, precisi e concordanti, analiticamente indicati, quali il valore superiore attribuito ai cespiti in una perizia di stima utilizzata dalle parti per fissare il prezzo del preliminare, il contratto di mutuo stipulato dalla società per un importo superiore al prezzo indicato nel definitivo, il verbale di assemblea in cui si deliberava l'acquisto previo utilizzo del finanziamento erogato dalla banca e la copertura della differenza con mezzi propri, il breve lasso di tempo (poco più di due mesi) intercorso tra la stipula dei due contratti.
 
Tutte circostanze queste che, globalmente considerate, secondo la Corte, soddisfacevano i criteri di elevata probabilità logica della desumibilità del fatto principale ignoto dai fatti secondari noti.
Ed avendo il giudice di merito rispettato tale modus procedendi, la sua valutazione discrezionale era sottratta al sindacato di legittimità, essendo l'apprezzamento circa la precisione, gravità e concordanza degli fatti considerati congruamente e logicamente motivato.
 
Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, è bene evidenziare che come anche recentemente ribadito dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 7820/2019, in linea con il decisum in commento, il giudice di merito, nella valutazione degli indizi, deve seguire un corretto procedimento logico, laddove la gravità, precisione e concordanza richieste dalla legge vanno desunte da un esame complessivo, in un giudizio non atomistico, individuando gli indizi significativi, da collocarsi in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall'altro in vicendevole completamento (Cassazione n. 12002/2017, n. 5374/2017, n. 9059/2018), fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
 
E, allora, a fondare l'accertamento immobiliare è in teoria sufficiente anche soltanto lo scostamento tra il minor prezzo indicato nell'atto di compravendita e l'importo del mutuo erogato all'acquirente, ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova (Cassazione n. 14388/2017), laddove, peraltro, sempre in tema di rilevanza del procedimento presuntivo, anche un solo fatto - qualora presenti i requisiti della gravità e precisione – può essere idoneo per una tale deduzione (Cassazione n. 2082/2014 e n. 4472/2003).
 
Se è quindi vero che in materia tributaria (benché l'articolo 2729 cc si esprima al plurale) il convincimento del giudice può fondarsi anche su un elemento unico, è vero anche che tale elemento deve in ogni caso essere preciso e grave (vedi tra le altre Cassazione n. 656/2014, e n. 14068/2014), spettando comunque al giudice di merito la valutazione della rispondenza degli elementi indiziari ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, come anche ribadito nella pronuncia in commento, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi rilevare che la censura per vizio di motivazione non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (vedi tra le altre Cassazione n. 8023/2009).
 
L'esistenza di "elementi presuntivi" (cioè indizi idonei a fondare una presunzione) forniti dall'Amministrazione a sostegno dell'accertamento comporta dunque un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente.
Si ricorda infine che il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell'atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, (eventualmente) sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell'accertamento dell'ufficio, con la conseguenza che il giudice tributario, ove ritenga invalido l'avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali) è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (vedi tra le altre Cassazione n. 26157/2013).
 

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