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Giurisprudenza

Niente compensazione dei ruoli
con i crediti vantati dal moroso

La Pa, prima di effettuare pagamenti superiori a 10mila euro, deve inoltrare una richiesta di verifica all'agente della riscossione, che è tenuto a eseguirla e a comunicarne l'esito

immagine di banconote legate con catena e lucchetto
L'articolo 2, comma 9, del Dl n. 262/2006, ha introdotto nel Dpr n. 602/1973 l'articolo 48-bis, il cui primo comma dispone che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al successivo secondo comma, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del Dlgs n. 165/2001, e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a 10mila euro, verificano, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all'agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell'esercizio dell'attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo.

Il secondo comma del cennato articolo 48-bis rimanda l'attuazione della disposizione recata dal primo comma a un regolamento ministeriale, poi adottato con il Dm n. 40/2008, ai sensi del quale la pubblica amministrazione, prima del pagamento, deve inoltrare una richiesta di verifica - secondo la procedura descritta nell'articolo 4 del decreto - a Equitalia (all'epoca, concessionario della riscossione), la quale a sua volta era tenuta a eseguirla e a comunicarne l'esito.
Pertanto, se l'inadempimento è riscontrato, si avvia la procedura di recupero della somma fiscalmente dovuta, con la comunicazione, da parte di Equitalia, di tale inadempimento all'amministrazione pagatrice ed emerge la condizione sospensiva che il legislatore ha introdotto.

La sentenza della Corte di cassazione n. 15017/2017, per la prima volta, a quanto ci consta, si è espressa su tale misura cautelare pro fisco la quale, è bene rilevare immediatamente, si rende applicabile in presenza di "notifica di una o più cartelle di pagamento", mentre la giurisprudenza di legittimità si era già pronunciata sul fermo amministrativo regolato dall'articolo 69, comma 6, del regio decreto n. 2440/1923.
Infatti, la Corte regolatrice del diritto, con la decisione n. 7320/2014, citata da questa in rassegna, ha affermato, in tema di Iva, che l'articolo 38-bis, comma 3, del Dpr n. 633/1972, concernente i rimborsi dei crediti Iva, non esclude l'applicabilità di tale disciplina generale, non limitando la sospensione dell'esecuzione del rimborso Iva alla sola ipotesi di contestazione penale.
Invero, nella Corte di legittimità vi era un contrasto giurisprudenziale in presenza di un precedente difforme orientamento emerso nella sentenza n. 27265/2006, che contrasta con la precedente decisione n. 4567/2004, poi riaffermata dalle pronuncia n. 9853/2011 (con indicazione delle successive pronunce conformi n. 9246/2013, n. 5349/2015, n. 5139/2016) sul potere dell'amministrazione finanziaria di sospendere l'esecuzione di un rimborso Iva in pendenza di proprie ragioni di credito.

La sentenza del Supremo collegio in rassegna evidenzia la complementarietà tra le due misure cautelari, in quanto l'articolo 69 del Rd n. 2440/1923 si rivolge non alle amministrazioni debitrici genericamente intese (per impedire loro di effettuare i pagamenti), bensì alle sole amministrazioni creditrici appartenenti allo Stato. Infatti, in tale ipotesi, viene a loro attribuita la facoltà di chiedere alle amministrazioni debitrici, se anch'esse appartenenti allo Stato, di sospendere i propri pagamenti quando le prime ritengano di avere verso il medesimo soggetto ragioni di credito, anche non ancora consacrate da titoli che vi attribuiscano certezza, liquidità ed esigibilità, mentre l'articolo 48-bis presuppone che il credito tributario risulti da ruoli già emessi e notificati con cartella di pagamento.

L'effetto desunto dal Collegio supremo è la legittimità della sospensione, nel caso di specie, del rimborso Iva, da parte dell'amministrazione finanziaria in favore di un contribuente, sulla base del citato istituto del fermo amministrativo, "in quanto questo risulta finalizzato alla compensazione legale tra il debito della Pubblica Amministrazione ed i crediti (anche se non ancora liquidi ed esigibili) che la stessa vanta nei confronti del contribuente (nella specie, per un ritenuto maggior debito del medesimo tributo), a prescindere dall'esistenza, o meno, di un pericolo per la riscossione".

Non si riscontrano precedenti giurisprudenziali in termini, ma la sezione tributaria della Cassazione, con la decisione n. 8846/2016, ha statuito che la sospensione temporanea dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni all'esito di una procedura di verifica dettagliatamente regolata nelle modalità e nei termini dall'articolo 48-bis del Dpr n. 602/1973 nonché dal provvedimento attuativo Dm n. 40/2008, non è idonea a paralizzare la forza esecutiva della sentenza passata in giudicato né a precludere la proposizione di un giudizio di ottemperanza.


a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
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