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Giurisprudenza

Niente esenzione Iva se il bus
è più “turistico” che di linea

La Corte di legittimità osserva, inoltre, che in caso di contestazioni relative ad agevolazioni, è il richiedente a dover dimostrare di avere i requisiti necessari per l’applicazione dello sconto

immagine di un pullman

Nel caso in cui il servizio di trasporto vada al di là del mero trasporto di persone, essendo piuttosto riconducibile a un servizio turistico, non si applica l’esenzione prevista dall’articolo 10, comma 1, n. 14), Dpr n. 633/1972. Ai fini Iva, nel caso in cui uno o più elementi siano costitutivi della prestazione principale, vi è sempre un’unica prestazione, con servizi accessori a cui si applica la stessa disciplina della prestazione principale. Una prestazione è infatti considerato accessorio quando costituisce non già un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore.

La Cassazione, con la sentenza n. 419 del 14 gennaio 2020, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di esenzione Iva per le prestazioni di trasporto pubblico.
In particolare, l’Agenzia delle entrate aveva notificato a una società un accertamento, con il quale aveva contestato l’illegittima applicazione del regime di esenzione dell’Iva, atteso che la società non aveva svolto un servizio di trasporto pubblico, ma una più complessa attività, consistente nella prestazione di servizi a scopo turistico ricreativo.
Avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso dinanzi alla Ctp di Grosseto, che lo aveva parzialmente accolto con sentenza poi confermata anche dalla Ctr, la quale aveva, in particolare, ritenuto che la pronuncia impugnata non fosse contraddittoria né che sussistesse violazione dei principi in materia di ripartizione dell'onere di prova.
La stessa pronuncia, inoltre, secondo la Ctr, non era erronea nella parte in cui aveva ritenuto che la società non svolgeva attività di trasporto pubblico di persone, ma una diversa attività, non esente, di organizzazione di gite turistiche, pervenendo a tale conclusione in considerazione del materiale probatorio offerto dall'Amministrazione e della non idoneità, d'altro lato, della documentazione prodotta dalla società.
Avverso la suddetta decisione la società aveva, infine, proposto ricorso per cassazione, deducendo, tra l’altro, la violazione dell'articolo 10, comma 1, n. 14), Dpr n. 633/1972.
In particolare, secondo la ricorrente, il godimento dell'esenzione prevista dall'articolo 10 richiamato, presupponeva, infatti, unicamente il compimento di un'attività di trasporto di persone da un luogo all'altro all'interno della cerchia territoriale locale, nonché la fruibilità del servizio da parte di una cerchia indifferenziata di utenti, non rilevando ulteriori elementi, quali la qualifica del soggetto esercente il servizio, la sussumibilità del servizio tra quelli di linea, ovvero l'utilità sociale del medesimo.
Con un secondo motivo di impugnazione la società censurava poi la sentenza per violazione dell'articolo 2697 del codice civile e della normativa in materia di riparto dell'onere di prova, per non avere la Ctr ritenuto che spettava all'Amministrazione finanziaria dimostrare la fondatezza della pretesa e per avere, invece, posto a carico della contribuente l'onere di provare di avere effettuato il servizio di trasporto.

Secondo la Corte suprema il ricorso è infondato.
Quanto alla prima censura, i giudici di legittimità evidenziano, infatti, che l'articolo 10, comma 1, n. 14), Dpr. n. 633/1972, prevedeva, nel testo applicabile ratione temporis, che erano da considerarsi esenti “le prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante veicoli da piazza o altri mezzi di trasporto abilitati a eseguire servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare. Si considerano urbani i trasporti effettuati nel territorio di un comune o tra comuni non distanti tra loro oltre cinquanta chilometri”.

L'applicabilità della previsione normativa in esame, rileva la Corte, presupponeva, in primo luogo, che il trasporto di persone fosse pubblico, nel senso che fosse effettuato tramite mezzi di comunicazione fruibili indistintamente da chi ne facesse richiesta, nonché urbano, svolgendosi cioè all'interno del territorio comunale.
La peculiarità della controversia, tuttavia, a parte questi aspetti, concerneva la esatta qualificazione del servizio fornito dalla ricorrente, avendo il giudice di merito accertato che la società, tenuto conto del complesso degli elementi probatori a disposizione, forniva un servizio di tipo “turistico”.
A tal proposito, la Cassazione evidenzia come la previsione normativa in esame, tenuto conto del fatto che riconosce un’esenzione dal pagamento dell'Iva, doveva essere interpretata restrittivamente, non potendo, quindi, operarsi un’interpretazione che andasse oltre la specifica previsione letterale.
E, in tale contesto, il riferimento alla nozione di trasporto di persone faceva richiamava la definizione civilistica di cui all'articolo 1678, cc., secondo cui “Con il contratto di trasporto il vettore si obbliga verso corrispettivo a trasferire persone o cose da un luogo a un altro”, laddove, dunque, il contratto doveva essere limitato, nella sua funzione causale, unicamente al trasferimento da un luogo a un altro, dietro corrispettivo per il servizio reso.

Definizione a cui non si attagliava la vicenda in giudizio che, come detto, si riferiva a un servizio che andava al di là del mero trasporto, offrendo la società servizi ulteriori, qualificati “turistici” dalla sentenza impugnata (“gite turistiche”, secondo la Ctr).
Ciò precisato, i giudici rilevano anche che, quando un'operazione è costituita da una serie di più elementi e attività, per determinare se tale operazione comporti, ai fini Iva, due o più prestazioni distinte o un'unica prestazione, si devono prendere in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l'operazione considerata (vedi, in tal senso, da ultimo, Corte giustizia Ue, sentenza 18 gennaio 2018, causa c-463/16).
Da un lato, infatti, ciascuna operazione dev'essere considerata, di regola, come autonoma e indipendente e, dall'altro, però, l'operazione costituita da un'unica prestazione, indissociabile sotto il profilo economico, non dev'essere artificialmente divisa in più parti, al fine appunto, di non alterare la funzionalità del sistema dell'Iva (vedi, per tutte, sentenze del 10 marzo 2011, Bog e altri, C-497/09, C-499/09, C-501/09 e C-502/09).
Il giudice comunitario ha, inoltre, anche affermato che vi è un'unica prestazione nel caso in cui uno o più elementi debbano essere considerati costitutivi della prestazione principale, mentre altri elementi devono invece essere considerati come una o più prestazioni accessorie, cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale, laddove una prestazione è considerata accessoria a una principale, quando costituisce, per la clientela, non già un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore.
Applicando tali principi al procedimento in esame, conclude la Cassazione, la Ctr aveva, quindi, dato (correttamente) prevalenza alla finalità turistico ricreativa del servizio prestato, essendo l'attività di trasporto di persone il mezzo per assicurare l'effettivo perseguimento della finalità (turistica) che il cliente intendeva perseguire.

Anche il secondo motivo di impugnazione era poi infondato.
A tal proposito la Corte di legittimità osserva, infatti, che l'onere della prova, nel caso di esenzioni, è rigorosamente a carico del richiedente (Cassazione, sezioni unite, nn. 27619/2006, 6489/2012, 23228/2017) essendo quindi il soggetto, che intende avvalersi di un’agevolazione tributaria (quale anche l'applicazione del regime di esenzione di cui all'art. 10, cit), tenuto ad assolvere all'onere di provare la sussistenza delle condizioni per potere fruire del regime di favore.
Tanto premesso, in ordine allo specifico caso processuale, si evidenzia infine come la Cassazione si fosse del resto già recentemente pronunciata sulla questione.
In un analogo caso, pur se sotto il profilo della legittimità del decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca emesso nei confronti di una società di noleggio imbarcazioni e della sua rappresentante legale per il reato previsto dagli articoli 81, cp e 5 del Dlgs n. 74/2000, la società contribuente aveva, infatti, sostenuto che la normativa di riferimento (la stessa sopra evidenziata) non poneva alcuna condizione circa le finalità per le quali il passeggero richieda di essere trasportato, non potendo (a suo avviso) il vettore avere l'onere di indagare sulle finalità per le quali il servizio di trasporto venisse richiesto.
E anche in quel caso, secondo la Corte suprema (Cassazione, sentenza n. 46715/2018), il ricorso non era fondato, dato che l'accesso alla motonave per il trasferimento nei luoghi stabiliti nel programma della gita non rappresentava l'attività primaria di trasporto, bensì una prestazione accessoria, affiancata da animazione di bordo, somministrazione di alimenti e bevande e, in alcuni casi, fornitura del biglietto di ingresso alle strutture da visitare, attività rispetto alle quali il trasferimento del cliente nei luoghi previsti dal programma era solamente strumentale al complesso dei servizi offerti, essendo perciò soggetta alla normale imposizione fiscale, e non potendo fruire dell'esenzione Iva prevista per i soli servizi di trasporto urbano, anche acqueo.
Le concrete modalità con le quali la società aveva esercitato la sua attività non erano, quindi, anche in quel caso, sussumibili nella fattispecie astratta di cui all'articolo 10, primo comma, n. 14) del Dpr n. 633/72, che, come visto, prevede solo a determinate condizioni l'esenzione dall'Iva.

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