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Giurisprudenza

Niente patteggiamento penale
se il debito non è ancora estinto

In caso di reati tributari, la disciplina sull’attenuazione della condanna non può trovare applicazione in pendenza di rate ancora dovute prima dell’apertura del dibattimento

L’articolo 2, comma 36-vicies semel, lettera m, del Dl n. 138/2011, ha inserito il comma 2-bis nell’articolo 13 del Dlgs n. 74/2000, disponendo che, per i delitti disciplinati da tale decreto, l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui ai precedenti commi 1 e 2.
A loro volta, i commi da ultimo citati disciplinano le circostanze attenuanti mediante il pagamento del debito tributario, prevedendo al primo comma che le pene previste per i delitti di cui al cennato decreto sono diminuite fino a un terzo e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.
Il secondo comma ha preteso il pagamento anche delle correlate sanzioni amministrative, sebbene ritenute non applicabili all’imputato dal precedente articolo 19, comma 1, il quale disciplina il principio di specialità, statuendo che, quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II del Dlgs n. 74/2000 e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.

Nella controversia oggetto della sentenza n. 29565/2017 della Corte di cassazione, il Tribunale aveva ammesso l’imprenditore che aveva violato l’articolo 2 del Dlgs n. 74, per avere indicato nella dichiarazione dei redditi e dell’Iva elementi passivi insussistenti avvalendosi di fatture relative a operazioni inesistenti, all’applicazione concordata della pena, seppure avesse in corso il pagamento rateale del debito tributario.
L’articolo 444 del codice di rito penale regola il “patteggiamento”, ossia l’applicazione della pena su richiesta da parte dell’imputato e del pubblico ministero al giudice, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non superi cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

Nessun dubbio, per la sentenza della suprema Corte in nota, sull’inammissibilità della richiesta di patteggiamento in presenza di tale elemento ostativo (la mancata estinzione del debito tributario, cioè) specificamente previsto dalla legislazione penale tributaria, in assonanza a quanto affermato dalla giurisprudenza del supremo Collegio con le sentenze, citate da questa in commento, della terza sezione penale, 18 marzo 2015, n. 11352 e 15 settembre 2014, n.37748.
La menzionata disciplina sull’attenuazione della pena contenuta nell’articolo 13 del Dlgs n. 74/2000 è stata trasfusa, a seguito della entrata in vigore del Dlgs n. 158/2015, nel secondo comma dell’articolo 13-bis del Dlgs n. 74, senza che - come afferma la sentenza in commento - ne sia sostanzialmente mutato il tenore dispositivo se non che, ci permettiamo di aggiungere, tra le circostanze attenuanti ora vi è incluso anche il ravvedimento operoso.

A sua volta la Corte costituzionale, con la sentenza 28 maggio 2015, n. 95, aveva affermato che la subordinazione dell’ammissibilità del “patteggiamento” penale di cui all’articolo 444 cpp al pagamento del debito tributario e delle relative sanzioni amministrative, fissato dall’articolo 13, comma 2-bis, del Dlgs n. 74/2000, non viola il diritto di difesa e il principio di uguaglianza.
Nella nota a tale pronuncia della Consulta era stata evidenziata la necessità di sospensione della condanna subordinata alla rateizzazione del dovuto, in coerenza con quanto previsto per la debenza del tributo, affinché la temporanea insolvenza del contribuente non faccia fallire la funzione rieducativa della pena e ... impoverire le casse erariali, e si era aggiunto che “Peraltro la discriminazione avverrebbe quando si richiede non tanto il tutto, ma subito”. 


a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME

 
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