Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Niente plafond Iva senza prova
di esistenza della controparte Ue

Il fornitore che effettui cessioni intracomunitarie deve tenere un comportamento particolarmente oculato, andando al di là delle procedure normalmente usate nella prassi operativa ordinaria

immagine generica illustrativa

La mancata dimostrazione della sussistenza del cessionario eurounitario e, quindi, l’assenza di operazioni intracomunitarie comporta la decadenza, in tutto o in parte, del presupposto per la sospensione del debito di imposta. Di conseguenza, venendo meno lo status di esportatore abituale, il plafond si perde o deve essere rideterminato.

In pratica, l’amministrazione finanziaria emetteva quattro avvisi di accertamento nei confronti di una società, con i quali veniva accertata maggiore Iva derivante dalla riqualificazione di cessioni intracomunitarie in esenzione d’imposta, quali operazioni imponibili per accertata insussistenza del cessionario eurounitario. L’ufficio, contestualmente, rideterminava il plafond Iva.
La contribuente impugnava gli atti impositivi lamentando, tra l’altro l’erronea applicazione dell’articolo 41, del Dl n. 331/1993, l’esistenza dei cessionari esteri e la non corretta rideterminazione del plafond.

Il contenzioso si è concluso con l’emissione, da parte della Corte di cassazione, della sentenza n. 36852 del 15 dicembre 2022, che ha confermato la pronuncia n. 3827/2019 dell’allora Ctr della Lombardia.
Nel cuore della decisione in esame, i giudici di legittimità affrontano il delicato tema dell’onere della prova, terreno nevralgico su cui si gioca l’esito del giudizio.

Perché una cessione di beni possa essere qualificata come “comunitaria” deve ricorrere:

  1. la natura “comunitaria” dei beni oggetto delle transazioni o beni immessi in libera pratica nella Comunità
  2. l’identificazione, ai fini Iva, in uno Stato membro di entrambe le parti
  3. l’onerosità dell’operazione, cioè l’elemento oggettivo
  4. il trasferimento del diritto di proprietà (o di altro diritto reale) sui beni
  5. l’effettiva movimentazione dei beni, con partenza da uno Stato membro e arrivo in altro Stato membro dell’Ue (elemento territoriale).

È pacifico che, in presenza della disciplina che prevede, in via ordinaria, l'assoggettamento a Iva delle cessioni, incombe, sulla parte privata intenzionata a fruire del regime di non imponibilità, la dimostrazione dell'esistenza dei requisiti essenziali per la configurazione dell'invocata fattispecie non imponibile.

Nel caso in trattazione, il punto focale della questione è rappresentato dalla circostanza che il contribuente ha posto in essere una cessione qualificata dallo stesso intracomunitaria con un soggetto estero la cui esistenza non è stata certificata dall’autorità fiscale di appartenenza.

Ponendosi nel solco di un consolidato orientamento i supremi giudici evidenziano che “pur nel rispetto del principio generale sancito dall'art. 3 l. 24 novembre 1981, n. 689, che implica la consapevolezza del contribuente (a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente), ai fini sanzionatori è sufficiente la mera coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente; prova, questa, che va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l'agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l'ignoranza dei presupposti dell'illecito e dunque non superabile con l'uso della normale diligenza (Cass., Sez. V, 30 gennaio 2020, n. 2139; Cass., Sez. V, 15 maggio 2019, n. 12901; Cass., Sez. V, 13 settembre 2018, n. 22329; Cass., Sez. VI, 28 maggio 2018, n. 13356; Cass., Sez. V, 17 marzo 2017, n. 6930; Cass., Sez. V, 15 giugno 2011, n. 13068). Era, pertanto, onere del contribuente, a fronte degli elementi addotti dall’Ufficio, offrire la prova della propria estraneità alla frode IVA”.

Dunque, il fornitore che effettui cessioni intracomunitarie deve tenere un comportamento particolarmente oculato, andando al di là delle procedure normalmente usate nella prassi operativa ordinaria.

La questione in esame presenta ricadute dirette sulla determinazione e quantificazione del plafond Iva.
L’articolo 8, primo comma, lettera c), del Dpr n. 633/1972, consente ai contribuenti, che effettuino cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, di avvalersi della facoltà di acquistare beni o servizi senza pagamento dell’imposta (in sospensione d’imposta), ove dichiarino di avvalersi di tale facoltà quali esportatori abituali nei limiti del plafond.
Il plafond si determina in relazione all’esercizio precedente (articolo 1, comma 1, Dl n. 746/1983), ossia ove l’ammontare dei corrispettivi delle cessioni all’esportazione sia superiore al 10% del volume di affari complessivo, concorrendo le cessioni intracomunitarie alla determinazione del suddetto plafond (articolo 41, comma 4, Dl n. 331/1993).
La facoltà di utilizzare il plafond Iva discende dalla constatazione che l’assolvimento dell’imposta sugli acquisti a monte porta il contribuente a essere costantemente a credito di imposta, facendolo diventare finanziatore dell’Erario a breve termine, posto che deve anticipare l’Iva in rivalsa senza potersi rivalere sul cessionario committente.

Il richiamato articolo 8 consente, pertanto, al contribuente di godere di un regime di sospensione del debito di imposta, abbattendo il credito Iva, che si creerebbe all’atto dell’effettuazione degli acquisti.
Presupposto per accedere a questo regime sospensivo è proprio la natura di esportatore abituale. In particolare, detto regime si concretizza nei limiti quantitativi del plafond determinatosi in relazione al periodo di imposta precedente, in quanto lo speciale trattamento fiscale previsto dalla norma, tesa all'incentivazione della esportazione, nasce dalla situazione obbiettiva, data dalla qualità di esportatore abituale dell'operatore, nei limiti quantitativi previsti dalla norma (cfr Cassazione nn. 4022/2012, 28247/2013, 22430/2014, 9586/2019, 25485/2019, 24706/2020).

Alla luce di ciò, la Cassazione evidenzia che l’assenza di operazioni intracomunitarie comporta il venir meno, in tutto o in parte, del presupposto per la sospensione del debito di imposta e, quindi, la rideterminazione o la perdita del plafond, riducendo o facendo venir meno (ove venga meno lo status di esportatore abituale) la soglia monetaria utilizzabile dal contribuente nel periodo di imposta successivo entro la quale possano effettuarsi acquisti in regime di sospensione d'imposta (Cass., Sez. V, 15 giugno 2018, n. 15835; Cass., Sez. V, n. 24706/2020, cit.)”.
Dunque, la necessità di provare l’esistenza delle operazioni irradia i propri effetti anche sul campo sostanziale.

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/niente-plafond-iva-senza-prova-esistenza-della-controparte-ue