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Giurisprudenza

Niente “riassunzione” se c’è difetto di giurisdizione

I giudici della Corte d’appello hanno circoscritto l’applicabilità dell’istituto alla sola ipotesi di incompetenza

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Il quadro normativo
Il decreto legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito con modificazioni, con la legge 23 aprile 2002, n. 73 – Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare – dispone, all’articolo 3, comma 3, nella versione applicabile ratione temporis (la norma è stata recentemente modificata per effetto delle disposizioni contenute nell’articolo 36-bis del Dl 4/7/2006, n. 223), che “…Ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste, l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatoria, è altresì punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione”.

Ancora, al comma 4, si legge che “…alla constatazione della violazione procedono gli organi preposti ai controlli in materia fiscale, contributiva e del lavoro”; il successivo comma 5 della stessa norma, ulteriormente, dispone che “…competente all’irrogazione della sanzione amministrativa di cui al comma 3 è l’Agenzia delle entrate. Si applicano le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazione, ad eccezione del comma 2 dell’art. 16”.

La fattispecie
Con ricorso al tribunale di Marsala, in funzione di giudice del lavoro, un contribuente impugnò un atto di irrogazione della sanzione derivante dall’impiego di lavoratori non risultanti da scritture o da altra documentazione obbligatoria. Con sentenza n. 1009/2004, i giudici dichiararono inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione.

Avverso tale ultimo provvedimento giurisdizionale, il contribuente propose impugnazione alla Corte di appello di Palermo, chiedendo la riforma della sentenza per i motivi appresso, sinteticamente, indicati:

  1. infondatezza della pretesa sanzionatoria
  2. incostituzionalità dell’articolo 3, Dl n. 12/2002
  3. difetto di giurisdizione del giudice tributario
  4. difetto di motivazione dell’atto di irrogazione di sanzione
  5. applicabilità dell’articolo 50 cpc, ovvero riassunzione della controversia dinanzi al giudice tributario.

La sentenza
La sentenza in commento, se, per un verso, si inserisce nel solco interpretativo già tracciato dall’ordinanza delle sezioni unite della Corte di cassazione, n. 2888/06 del 10/2/2006, per l’altro si segnala per l’originalità delle argomentazioni, in riferimento al contenuto dell’articolo 50 del cpc, ovvero all’ipotesi di riassunzione della causa per difetto di competenza.

Sotto il primo aspetto, la Corte di appello di Palermo, ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3 del Dl n. 12/2002, sollevata dalla parte, ha puntualizzato come “deve oramai ritenersi affermato, con chiarezza ed univocità, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine a tale tipologia di controversie”.

La motivazione del giudice di appello può essere così sintetizzata.
Circa la questione di legittimità costituzionale, il giudice di merito, richiamando il costante orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale, ha affermato che “la questione di legittimità costituzionale può essere dichiarata pregiudizialmente inammissibile allorquando risulti in modo del tutto evidente che la controversia esuli dalla giurisdizione del giudice adito”.
Conseguentemente, stigmatizzandosi il difetto di giurisdizione, la relativa questione di legittimità costituzionale, a parere dei giudici palermitani, deve essere allo stesso modo rigettata.

Per ciò che riguarda il difetto di giurisdizione, i giudici di appello, sulla scorta del contenuto dell’articolo 2 del Dlgs n. 546/1992, hanno affermato che la giurisdizione del giudice tributario sussiste “in via residuale anche con riferimento all’organo (Agenzia delle Entrate) che applica la sanzione (come si evince dall’utilizzo del termine “comunque”)”.
E, fin qui, si potrebbe affermare nulla di nuovo.

La sentenza in commento appare meritevole di annotazione per effetto dell’originale ratio decidendi circa la richiesta applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 50 cpc, rubricato riassunzione della causa, nell’ipotesi di difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
In sede di appello, infatti, la parte chiese che, nell’ipotesi in cui il giudice ordinario manifestasse il difetto di giurisdizione, la controversia fosse riassunta dinanzi al giudice tributario sulla scorta di quanto disposto dall’articolo 50 del Codice di procedura civile.

La Sezione per le controversie di lavoro della Corte di appello di Palermo ha rigettato la richiesta di parte, ritenendo “corretta la mancata assegnazione del termine per la riassunzione del giudizio, non vertendosi nell’ipotesi di incompetenza, prevista dall’art. 50 c.p.c.”.
In buona sostanza, il giudice di appello ha circoscritto l’applicabilità dell’istituto della riassunzione alla sola ipotesi di difetto di competenza ma non anche all’ipotesi, come quella in commento, di difetto di giurisdizione.

Conseguentemente, se la controversia fosse stata proposta a un giudice territorialmente incompetente, la stessa si sarebbe potuta riassumere dinanzi a quello competente, nei sei mesi dalla comunicazione della sentenza che avesse dichiarato l’incompetenza secondo il principio della traslatio iudicii.
Viceversa, nell’ipotesi in cui non si verta in materia incompetenza bensì di difetto di giurisdizione, il giudizio non potrà essere soggetto ad alcuna riassunzione.

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