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Giurisprudenza

Niente sanzioni per il contribuente truffato

Sufficiente la dimostrazione che il mancato pagamento delle imposte è derivato da condotte addebitabili esclusivamente a terzi, denunciate all'autorità giudiziaria

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Il contribuente "truffato" dal consulente fiscale non è punibile per il mancato pagamento delle imposte. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 26848/2007, in relazione all'omessa dichiarazione dei redditi (e il mancato versamento dei relativi tributi) derivante da condotte addebitabili esclusivamente a terzi e denunciate all'autorità giudiziaria.

Sulla base delle risultanze di processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, era stato emesso avviso di accertamento per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e conseguente mancato versamento delle imposte, con applicazione degli interessi di legge e irrogazione delle pene pecuniarie. Contro l'atto, il contribuente proponeva ricorso, addebitando la responsabilità (e le relative conseguenze) dell'omessa presentazione al professionista incaricato, nel frattempo denunciato in sede penale, e chiedendo l'annullamento delle sanzioni irrogate, rilevando che si verteva in tema di illecito determinato dal comportamento fraudolento di terzi.

La tesi del contribuente era stata accolta sia in primo che in secondo grado, in considerazione del disposto di cui all'articolo 6, comma 2, del Dlgs 472/1997, secondo cui "il contribuente, il sostituto e il responsabile d'imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all'autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi", ritenuto estendibile in forza del criterio legale di applicazione della legge più favorevole, sancito dall'articolo 3, comma 3, Dlgs 472/1997.

Avverso la decisione dei giudici d'appello, l'Amministrazione finanziaria proponeva ricorso in Cassazione: l'articolo 6, comma 3, Dlgs 472/1997, opererebbe in funzione di mera integrazione della disposizione di cui all'articolo unico della legge 423/1995, sicché l'esenzione del contribuente dalle sanzioni resterebbe condizionata agli adempimenti e alle formalità prescritte da tale legge. Sarebbe, dunque, precluso al giudice tributario anticipare, in sede di sindacato giurisdizionale di un avviso di accertamento, gli effetti eventualmente favorevoli di cui potrebbe beneficiare il contribuente solo nella fase di riscossione, ove risultassero sussistenti tutti i presupposti dello sgravio.

La Suprema corte ha sottolineato l'indipendenza, considerata la collocazione nel contesto normativo, delle discipline suddette: l'articolo 6, comma 3, del Dlgs 472/1997 concerne lo stato generale delle sanzioni amministrative in campo tributario, mentre l'articolo unico della legge 423/1995 è norma che opera sul diverso piano della riscossione e della commutazione del ruolo in capo al professionista responsabile.

Del resto, già con riferimento alla situazione normativa precedente al Dlgs 472/1997, la stessa Cassazione aveva avuto modo di puntualizzare (cfr sentenza 17578/2002) che, in sede contenziosa, il contribuente, in presenza di condotta penalmente illecita del professionista, va esentato da responsabilità per le sanzioni, indipendentemente dal rispetto degli adempimenti procedurali e dalle altre condizioni previste dalla legge medesima.

Orbene, scartata la relazione di subordinazione o integrazione tra le due norme, i giudici di legittimità hanno concluso che, ai fini della non punibilità del contribuente, è sufficiente la sola dimostrazione del mancato pagamento per fatto addebitabile esclusivamente a terzi e denunciato all'autorità giudiziaria.
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