Le Commissioni tributarie, anche dopo la modifica dell’articolo 7 del Dlgs n. 546 del 1992, disposta dalla legge 2 dicembre 2005 n. 248, hanno la possibilità di esercitare poteri d’indagine, nell’ambito delle questioni dedotte dalle parti, e di integrare i dati acquisiti in giudizio, anche discostandosi dalle valutazioni dell’ufficio. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 13 settembre 2006, n. 19593.
L’articolo 7 del decreto legislativo n. 546 del 1992 riconosce alle Commissioni tributarie la possibilità di esercitare, “…nei limiti dei fatti dedotti dalle parti”, ampi poteri istruttori al fine di rafforzare il proprio convincimento.
Secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, l’esercizio di tali poteri è discrezionale e consiste nella possibilità per il giudice tributario di disporre d’ufficio di tutti i mezzi istruttori che ritiene necessari per una piena comprensione della materia del contendere.
Tale facoltà è stata intesa dai giudici di legittimità come meramente integrativa dell’attività probatoria delle parti, cui spetta la delimitazione del thema decidendum della controversia. Infatti, riconoscere al giudice tributario la possibilità di esercitare i poteri istruttori anche nel caso in cui le parti non abbiano ottemperato all’onere probatorio, stravolgerebbe il carattere dispositivo del processo tributario, in quanto sarebbe il giudice stesso e non le parti a creare il supporto fattuale per la decisione della controversia (cfr Cassazione, sentenza 28 ottobre 2003, n. 16161; Cassazione, sentenza 9 maggio 2003, n. 7129).
L’esigenza di ricondurre i poteri istruttori delle Commissioni nei limiti del carattere dispositivo del processo tributario ha probabilmente ispirato la recente modifica disposta dalla legge n 248 del 2005, che ha abrogato il comma 3 dell’articolo 7, il quale prevedeva che “È sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia”.
La Cassazione, con la sentenza in esame, ritiene che tale modifica legislativa “non ha inciso sulla connotazione propria della giurisdizione tributaria. Alle Commissioni tributarie, infatti, è attribuito un potere di indagine che possono esercitare qualora dagli atti non risultino sufficienti elementi di giudizio e sempre che non ritengano di avere acquisito sufficienti elementi di giudizio, il tutto nei limiti dei fatti dedotti dalle parti”.
Secondo la Corte, infatti, a norma dell’articolo 7 citato, le Commissioni tributarie sono dotate di ampi poteri istruttori, che gli consentono un’attività estimativa, ma anche sostitutiva, delle prove e dei dati acquisiti in giudizio, avendo la possibilità di ricercare aliunde gli elementi della decisione, prescindendo dall’accertamento dell’ufficio e dall’eventuale difetto di prova dell’assunto.
Nel caso in esame, la controversia nasce dal ricorso proposto, dinanzi alla Ctp di Padova, avverso una cartella di pagamento notificata dall’esattoria delle imposte dirette, per il recupero a tassazione di somme indebitamente detratte.
I giudici di merito avevano riconosciuto la legittimità della deduzione operata dal contribuente, non ritenendo necessaria, ai fini della decisione, alcuna perizia di parte, richiesta dal ricorrente all’Ute, ma di fatto mai rilasciata.
L’ufficio aveva proposto appello e la Ctr di Padova, con la sentenza 134/7/99 del 9 novembre 1999, accoglieva il ricorso, affermando che i giudici tributari non possono sostituirsi agli organi deputati all’accertamento anche in caso di loro inerzia.
La Corte, con la sentenza in esame, ha cassato la pronuncia della Ctr, ritenendo corretto l’operato del giudice di prime cure che non si sarebbe sostituito alle parti nell’allegazione dei fatti, ma si sarebbe limitato a esercitare i propri poteri istruttori nell’ambito dei fatti allegati dal contribuente. La Cassazione ha ritenuto, infatti, che legittimamente la Commissione tributaria, in tema di prova, può porre a base di una sua decisione quella prova logica e indiretta che è la presunzione, di larga applicazione in materia tributaria.
A sostegno di tale posizione i giudici richiamano una serie di pronunce della giurisprudenza di legittimità, secondo le quali la Commissione tributaria, sulla base dei poteri di libero apprezzamento attribuiti ai giudici tributari dal citato articolo 7, pur non potendo sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio delle parti, può sostituire, ovvero utilizzare solo parzialmente, la valutazione operata dall’ufficio del Registro nell’avviso di accertamento di maggior valore, valendosi anche di altri dati, eventualmente offerti dal contribuente (Cassazione 24 novembre 2000, n. 15209; Cassazione 4 maggio 2004, n. 8439).
Non cambiano i limiti per il giudice detective
L’abrogazione del comma 3, articolo 7, Dlgs 546 del 1992 lascia immutati i poteri d’indagine delle Commissioni tributarie
