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Giurisprudenza

Non è “cristallizzato” il debito Irpeg
se il Fisco ha negato il rimborso

L’Agenzia può eccepire l’inesistenza del credito in qualsiasi momento e senza alcun atto di rettifica della dichiarazione, spetta al contribuente dimostrare il contrario

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È nei poteri dell’Amministrazione finanziaria contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, anche nel caso in cui siano scaduti i termini per l’esercizio del potere accertativo. Di conseguenza, in tal caso, la pretesa tributaria, non è soggetta al limite dei dieci anni. Questo è quanto stato chiarito dalla Corte Cassazione con la sentenza 3858, depositata dell’8 febbraio 2023

Fatti di causa
Nel 2012 la direzione provinciale II di Torino aveva notificato al contribuente il diniego totale al rimborso del credito Irpeg, risultante dalla dichiarazione fiscale relativa all’anno di imposta 1999, in quanto non spettante.
Contro tale provvedimento di diniego il contribuente aveva proposto ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Torino, ora Corte di giustizia tributaria di I grado, nel quale tuttavia è risultato soccombente.
Avverso la sentenza di primo grado, il contribuente si è appellato alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, la quale ha accolto l’appello compensando le spese.
Secondo la Ctr sarebbe intervenuta la prescrizione del potere accertativo dell’ufficio, conseguentemente il credito esposto in dichiarazione dal contribuente sarebbe stato consolidato e “cristallizzato”, in quanto nessun provvedimento era stato notificato entro il termine di dieci anni dalla presentazione della dichiarazione fiscale.

Decisione della Cassazione
Nel caso di richiesta di rimborso, il contribuente riveste il ruolo di attore, quindi, l’onere di dimostrare l’esistenza del credito e dei fatti posti a fondamento del diritto al rimborso incombono sul richiedente e, conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria può eccepire l’inesistenza del credito richiesto a rimborso anche successivamente al termine di dieci anni dalla presentazione della dichiarazione fiscale.
Per comprendere meglio tale interpretazione bisogna considerare che l'eccezione di annullamento è imprescrittibile, al contrario dell’azione che invece lo è. Tale principio di diritto è rilevabile nel Libro IV - Delle obbligazioni - Titolo II Dei contratti in generale del codice civile, in particolare nel quarto comma dell’articolo 1442 il quale prevede: “L'annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l'esecuzione del contratto, anche se è prescritta l'azione per farla valere”.

Al riguardo, i giudici di piazza Cavour chiariscono che: “decorso il termine per l’accertamento, all’Amministrazione viene consentito di contestare il contenuto di un atto del contribuente solo nella misura in cui tale contestazione consente alla Amministrazione di evitare un esborso, e non invece sotto il profilo in cui la medesima contestazione comporterebbe la affermazione di un credito della Amministrazione”.

Conclusioni
Facendo riferimento alla prescrizione di cui all’articolo 1442 del codice civile, l'azione di annullamento si prescrive mentre l'eccezione di annullabilità è imprescrittibile: conseguentemente può essere proposta in qualsiasi momento.
In caso di richiesta di rimborso spetta al contribuente dimostrare l’esistenza del credito e il possesso dei requisiti per il diritto al rimborso, mentre l’Amministrazione finanziaria può eccepire l’inesistenza in qualsiasi momento in base al principio “Quae temporalia sunt ad agendum perpetua sunt ad excipiendum”, conseguentemente non è necessario alcun atto di rettifica entro i termini di dieci anni dalla presentazione della dichiarazione.

Quindi, i termini per l’accertamento si riferiscono all’eventuale affermazione di un credito del Fisco, mentre nel caso in cui debba essere contestato il mancato possesso dei requisiti per un rimborso, che consente di evitare un esborso da parte dell’Erario, l’eccezione è perpetua.

Tale interpretazione, simmetricamente, riguarda anche il credito utilizzato dal contribuente nella compensazione tributaria. Quest’ultima è la facoltà che ha il contribuente di compensare i crediti e i debiti nei confronti dei diversi enti impositori. In primis, è opportuno ricordare che è consentito ripartire liberamente le somme a credito tra importi a rimborso e importi da compensare. Ovviamente, gli importi a credito che si decide di utilizzare in compensazione, ai sensi del Dlgs n. 241/1997, non devono essere obbligatoriamente utilizzati in via preferenziale per compensare i debiti tributari. Conseguentemente, la verifica della bontà di una compensazione di un credito non tiene in considerazione i termini in cui il credito è stato maturato, ma quando è stato utilizzato in compensazione.
Nel caso in cui venga eccepita l’inesistenza del credito compensato, quindi, il relativo atto di recupero dovrà essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, non rilevando, ai fini della violazione sopra richiamata, la mera esposizione del credito in dichiarazione annuale.

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