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Giurisprudenza

Non è esclusa da Ici l'area edificabile soggetta a espropriazione

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Per le aree edificabili soggette a vincoli urbanistici che le destinano all'espropriazione non è applicabile alcuna esenzione dal pagamento dell'Ici.
E' il principio che la Cassazione ha stabilito con la sentenza n. 19750 del 4 ottobre 2004, con la quale ha, pertanto, affermato che l'articolo 1 del Dlgs 30 dicembre 1992, n. 504, in nessun modo ricollega il presupposto dell'imposta all'idoneità del bene a produrre reddito o alla sua attitudine a incrementare il proprio valore o il reddito prodotto, assumendo rilievo il valore dell'immobile ai soli fini della determinazione della base imponibile e quindi della concreta misura dell'imposta.

Il caso affrontato dalla Corte
La Cassazione si è occupata di un contribuente che aveva presentato ricorso alla commissione tributaria di primo grado avverso un avviso di accertamento con il quale il Comune aveva intimato il pagamento dell'Ici su un terreno di proprietà dello stesso contribuente.
Il contribuente basava il ricorso sulle seguenti deduzioni:

  • il terreno, incluso in un piano di lottizzazione industriale, aveva in realtà caratteristiche agricole
  • lo strumento urbanistico, che prevedeva la destinazione ad area industriale, era decaduto
  • poiché il fondo era condotto da un affittuario coltivatore diretto, che provvedeva al suo sfruttamento agricolo, doveva essere applicata la relativa esenzione dall'Ici.

La commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso sul presupposto che il suolo in questione era destinato all'espropriazione per la realizzazione di opifici industriali e infrastrutture.
Contro tale sentenza il Comune ricorreva in appello, e la commissione tributaria regionale accoglieva il ricorso affermando che:

  • la possibilità dell'espropriazione per pubblica utilità non comportava la inedificabilità del suolo, che invece era inserito in uno strumento urbanistico che ne prevedeva l'utilizzazione a scopo edificatorio
  • per ottenere l'esenzione dall'Ici ai sensi dell'articolo 9 del Dlgs n. 504/1992, richiesta dal contribuente, era necessaria la coltivazione del fondo direttamente da parte del proprietario, il quale, a sua volta, doveva rivestire la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale
  • la vigenza e l'attualità della destinazione urbanistica del suolo era provata dalla documentazione versata dal Comune a confutazione dell'asserita decadenza dello strumento urbanistico.

Pertanto, la controversia è giunta in Cassazione su ricorso proposto del contribuente.

La posizione della Cassazione
L'articolo 1, comma 2, del Dlgs n. 504/1992 prevede che il presupposto dell'imposta comunale sugli immobili è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa.
In nessun modo, pertanto, la norma ricollega il presupposto dell'imposta all'idoneità del bene a produrre reddito, né tanto meno alla sua attitudine a incrementare il proprio valore o il reddito prodotto.

Il valore dell'immobile assume, invece, rilievo ai fini della determinazione della base imponibile, secondo il disposto dell'articolo 5, comma 1, del citato Dlgs n. 504/1992, con la conseguenza che il maggiore o minore valore del bene, e quindi indirettamente la sua redditività, non incide casualmente sulla sua assoggettabilità all'imposta, ma, costituendo il criterio di determinazione della base imponibile, influisce soltanto sulla concreta misura dell'imposta applicabile.
In particolare, per le aree fabbricabili, il valore rilevante, ai fini della determinazione della base imponibile, è quello venale in comune commercio al 1° gennaio dell'anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.
Per i terreni agricoli, invece, il valore è costituito da quello che risulta applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione, un moltiplicatore pari a settantacinque.

Pertanto, per la Cassazione, è giuridicamente infondata la tesi del ricorrente, secondo cui il terreno in questione - in base all'accertamento del Comune di natura edificabile, ma soggetto a un vincolo urbanistico che lo destina all'espropriazione per la successiva assegnazione alle imprese e la realizzazione di un'area industriale - subendo un decremento di valore ed essendo collocato di fatto fuori dal mercato, dovrebbe essere considerato esente dall'Ici.

Ed è, inoltre, priva di fondamento l'ulteriore tesi difensiva del contribuente, secondo il quale la vocazione edificatoria del terreno e la sua sottoposizione all'Ici, conseguenti all'inclusione del fondo nel piano di lottizzazione industriale, sarebbero in realtà escluse dalla destinazione dell'immobile all'espropriazione.

Per la Cassazione, al contrario, è condivisibile la tesi dei giudici di appello, secondo i quali la possibilità dell'espropriazione per pubblica utilità non comporta l'affermazione della inedificabilità, in quanto, indipendentemente dalla valutazione soggettiva da parte del proprietario, dal punto di vista oggettivo un bene immobile è da considerare come area per effetto della inclusione in uno strumento urbanistico che ne preveda l'utilizzazione a scopo edificatorio, comportandone, così, l'assoggettamento a Ici.

Da ciò si deduce che il terreno in questione non è esente da imposta e tale conclusione riceve conferma dalla disciplina dettata dall'articolo 16, comma 2, del Dlgs n. 504/1992, abrogato a decorrere dal 30 giugno 2003, ai sensi degli articoli 58, comma 1, e 59 del Dpr 8 giugno 2001, n. 327, modificati dal Dlgs n. 302/2002, i quali mirano a ristorare il proprietario dal pregiudizio a lui derivante nel caso in cui l'imposta versata nei cinque anni precedenti all'espropriazione, conteggiata sul valore venale del bene, sia superiore a quella che sarebbe risultata se fosse stata calcolata sull'indennità di espropriazione effettivamente corrisposta.
Né tale disciplina, nella parte in cui non si applica al periodo di tempo antecedente agli ultimi cinque anni rispetto alla data dell'espropriazione, pone, secondo la Corte, dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione.

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