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Giurisprudenza

Non producono utili all'azienda:
parcelle all'avvocato indeducibili

La presunzione di cessione in nero opera, inoltre, anche con differenze inventariali negative minime, non vigendo una soglia minima del potere accertativo da parte del Fisco

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Affinché le singole spese integrino il requisito dell'inerenza, necessario alla conseguente deducibilità fiscale, non è sufficiente che il relativo costo sia conseguente in senso generico all'attività d'impresa svolta, ma è necessaria la correlazione con un'attività potenzialmente idonea a produrre utili.
Inoltre, la presunzione di cessione in nero derivante dalle differenze inventariali di magazzino opera anche nell'ipotesi in cui gli scostamenti siano esigui rispetto al volume d'affari della società o alla consistenza del magazzino stesso, perché non è configurabile una soglia minima all'esercizio del potere accertativo da parte dell'amministrazione finanziaria.
Questo il sunto della sentenza della Corte di cassazione n. 6185 del 10 marzo 2017.

Il fatto
L'Agenzia delle Entrate notificava a una società un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell'Iva per la ripresa a tassazione di costi ritenuti non inerenti, afferenti il rimborso delle spese legali sostenute da dipendenti della stessa società per vertenze sorte nell'ambito del rapporto di lavoro e l'accertamento di ricavi in nero conseguenti alle differenze inventariali riscontrate nel magazzino.

Avverso l'atto impositivo, la contribuente proponeva ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale, ottenendo il parziale annullamento dell'avviso di accertamento.
La decisione veniva confermata dai giudici della Commissione regionale i quali, rigettando l'appello dell'ufficio finanziario, avevano confermato la deducibilità delle spese legali in esame, perché ritenute costi "inerenti e conseguenti, seppur in senso generico, allo svolgimento dell'attività d'impresa".

L'Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza di secondo grado, affidando il ricorso a due motivi.
La Corte suprema ha accolto le motivazione dell'ufficio e ha cassato la pronuncia impugnata, rinviandola alla Commissione tributaria regionale in diversa composizione.

La decisione
Con il primo motivo di ricorso, l'Amministrazione finanziaria ha dedotto la falsa applicazione del principio dell'inerenza enunciato dall'articolo 109, comma 5, del Tuir, per cui le spese e gli altri componenti negativi "sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi".
Con la decisione impugnata, i giudici di merito hanno riconosciuto la deducibilità delle spese legali sostenute dalla società per la difesa di propri dipendenti che, nell'ambito di un procedimento penale, erano stati querelati da altri dipendenti per vertenze sorte nell'ambito del rapporto di lavoro, assimilando tali costi alle spese finalizzate a garantire la sicurezza e la salute negli ambienti di lavoro.

Secondo la Commissione tributaria regionale, i costi in questione sono da ritenersi inerenti e conseguenti, seppur in senso generico, allo svolgimento dell'attività d'impresa, perché con il proprio operato la contribuente ha inteso tutelare "i propri interessi e la propria posizione tanto sul piano patrimoniale che sul piano morale e sociale", considerato che l'esito del procedimento poteva avere riflessi negativi sulla stessa società.

Il thema decidendum che ruota attorno alla controversia riguarda, pertanto, la verifica dell'inerenza all'attività d'impresa delle poste reddituali in esame, secondo i principi stabiliti dal richiamato articolo 109 del Tuir.
A tal fine, ripercorrendo la vicenda processuale, appare evidente e incontrovertibile che il rimborso effettuato dalla società ai propri dipendenti, a fronte delle spese legali da questi sostenute nell'ambito del procedimento penale, rientrasse nel generale interesse aziendale.

Il punto è che tale circostanza non è sufficiente a giustificare la deduzione del relativo costo dal reddito imponibile, perché è assente "qualsiasi correlazione tra la spesa e un'attività potenzialmente idonea a produrre utili", secondo la nozione di inerenza più volte precisata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (in ultimo, sentenza 4041/2015).
A conferma dell'indeducibilità dei costi in argomento, i giudici di legittimità hanno richiamato il disposto della sentenza 23089/2012, in cui si afferma che è indeducibile il rimborso sostenuto a fronte delle spese sostenute dal rappresentante legale nell'ambito di un procedimento penale "a nulla rilevando che il capo d'imputazione concernesse fatti compiuti nello svolgimento dell'incarico".

Con il secondo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate ha dedotto violazione degli articoli 1 e 3 del Dpr 441/1997 in materia di "differenze inventariali".
La questione è attinente alle discrepanze inventariali negative riscontrate dall'organo verificatore nel corso del controllo del magazzino della società.
A parere dei giudici di merito, tali differenze negative non potevano far presumere delle cessioni in nero, "tenuto conto della minima entità dello scarto in rapporto ai volumi gestiti nella contabilità di magazzino".
Ci si riferisce alle disposizioni contenute nel Dpr 441/1997, secondo cui i beni acquistati, importati o prodotti, che non sono rinvenuti presso i locali in cui il contribuente svolge la propria attività, si presumono ceduti. Infatti, gli eventuali scostamenti negativi costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d'imposta oggetto di controllo.

Secondo la Cassazione, i giudici di merito sono incorsi in errore quando hanno affermato che la modestia delle differenze inventariali riscontrate non rendeva applicabile la presunzione di vendite in nero, perché non esiste alcuna norma che limita il potere degli uffici finanziari in merito all'accertamento di maggior ricavi desumibile dall'inesistenza in magazzino di tali beni (in tal senso, Cassazione 21154/2008).
 
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