La Cassazione ha ribadito che l’Amministrazione finanziaria può agire contro i soci di una società estinta per l’accertamento delle obbligazioni sociali, a prescindere dal fatto che i soci abbiano ricevuto un attivo di liquidazione.
Secondo la Corte suprema l’affermazione vale anche per le società estinte dopo l’entrata in vigore dell’articolo 28 del Dlgs n. 175/2014 e per le azioni proposte entro 5 anni dalla domanda di cancellazione.
Tale norma, in quanto introduttiva di una ficto iuris “diretta alla stabilizzazione degli atti dell'Amministrazione finanziaria”, non elimina il fenomeno successorio che origina dalla cancellazione dell’ente ex articolo 2495 del codice civile, quanto meno ai fini processuali. Ne deriva che, ferma restando la possibilità di notificare avvisi di accertamento alla società estinta da meno di 5 anni, i soci, e non la società estinta in persona dell'ultimo rappresentante legale, stanno in giudizio per le obbligazioni dell’ente estinta da meno di 5 anni.
Con sentenza n. 38130 del 30 dicembre 2022 la Corte di cassazione ha statuito sull’ammissibilità di un ricorso per cassazione, indirizzato e notificato ai componenti di una società estinta per cancellazione dal registro delle imprese il 30 settembre 2015, senza che alcuna somma fosse stata riscossa dai soci sulla base del bilancio di liquidazione.
La questione è di grande rilevanza sistematica poiché si pone a seguito dell’introduzione dell’articolo 28 del Dlgs n.175/2014, che ha introdotto il principio della “sopravvivenza fiscale” della società cancellata, e della pronuncia della Corte costituzionale n .142/2020 con oggetto la “possibilità di notificare validamente gli atti intestati ad un soggetto non più esistente”.
La decisione della questione passa, pertanto, per l’analisi dell'articolo 28 richiamato, rilevante ratione temporis, dal momento che la cancellazione della società è avvenuta il 30 settembre 2015, e della interpretazione che della norma citata ne ha fatto la Corte costituzionale e la giurisprudenza di legittimità.
La norma in questione dispone che “ai soli fini della validità e dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l'estinzione della società di cui all'articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.
La Corte costituzionale n. 142/ 2020 ha confermato la costituzionalità della richiamata previsione di legge, prendendo in considerazione anche profili non sostanziali e chiarendo che “Occorre considerare, poi, che la possibilità di notificare validamente gli atti intestati ad un soggetto non più esistente si presenta coerente con il sistema tributario complessivamente considerato, in quanto l'art. 65, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), permette, con riguardo alle persone fisiche, che “la notifica degli atti intestati al dante causa [possa] essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell'ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al secondo comma”.
Secondo la Cassazione, le affermazioni della Consulta non si pongono in contrasto con la giurisprudenza che ha previsto l'applicabilità delle nuove disposizioni previste dall'articolo 28, comma 4, citato, collegate alla “sopravvivenza fiscale” della società alle sole cancellazioni eseguite dal 13 dicembre 2014 in poi, ritenuta per consolidata interpretazione normativa di carattere sostanziale “La norma, pertanto (contrariamente a quanto talora sostenuto dall'amministrazione finanziaria nelle sue circolari), opera su un piano sostanziale e non “procedurale””.
La giurisprudenza, con orientamento monolitico, ha infatti precisato che “l'art. 28, comma 4, del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa, neppure implicita, e non ha, quindi, alcuna efficacia retroattiva. Ne consegue che il differimento quinquennale (operante nei confronti soltanto dell'amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell'estinzione della società derivanti dall'art. 2495, secondo comma, cod. civ., si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differì- mento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto d.lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente.» (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6743 del 02/04/2015, Rv. 635140- 01; conformi Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n.15648 del 28/07/2015, Rv. 636038- 01; Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n.4536 del 21/02/2020, Rv. 657323 - 01)”.
Ciò premesso, la sentenza in commento chiarisce che “l'art.28, comma 4 d, d.lgs. n.175/2014 realizza una fictio iuris, e in questo è norma sostanziale, dal momento che considera la società estinta come ancora esistente al solo scopo di evitare la disgregazione del patrimonio a garanzia del fisco per precisa scelta del legislatore. Questi ha in tal modo voluto evitare che la cancellazione dal registro delle imprese e l'estinzione della società determinasse effetti pregiudizievoli per l'Erario senza che il favorire l'adempimento dell'obbligazione tributaria verso le società cancellate determinasse alcuna ingiustificata disparità di trattamento (cfr. Corte cost. n. 142/2020)”.
La giurisprudenza ha, a più riprese, chiarito che “la stabilizzazione degli atti dell'Amministrazione finanziaria» perseguita dalla norma attraverso la fictio iuris suddetta non mette in dubbio il fatto che la società sia estinta, ma piuttosto estende il perimetro dell'opponibilità degli atti tributari ( «[a]i soli fini della validità e dell'efficacia»), fermo restando che i soci, secondo l'orami consolidato insegnamento della Sezione, rispondono all'Amministrazione finanziaria dei debiti sociali anche qualora non abbiano riscosso alcunché all'esito del bilancio finale di liquidazione, per effetto di un fenomeno successorio. Da ciò discende la loro legittimazione passiva ad causam indipendentemente dall'avvenuta riscossione delle quote o di parte di esse (Cass., 2 novembre 2021, n.31904; Cass.,4 ottobre 2021, n. 26910; Cass. 19 aprile 2018, n.9672)”.
Così chiarito, il Collegio di legittimità ha affermato il seguente principio di diritto “La legittimazione dei soci di società estinta non viene meno per effetto dell'applicazione dell'art. 28, co. 4, d.lgs. 21.11.2014, n.175, entrato in vigore il 13.12.2014 emesso in attuazione della l. 11.3.2014, n.23, artt.1 e 7, trattandosi di fictio iuris introdotta per precisa scelta del legislatore, ritenuta legittima da Corte cost. n.142/2020 e che ha inteso favorire l'adempimento dell'obbligazione tributaria verso le società cancellate entro il quinquennio dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese, senza che abbia rilievo il fatto che i soci abbiano riscosso o meno somme in conseguenza del bilancio finale di liquidazione”.
È, pertanto, ritenuta infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, con cui si contesta la legittimità della sua notifica a componenti di società estinta per cancellazione dal registro delle imprese e che non hanno riscosso alcuna somma in conseguenza del bilancio finale di liquidazione.
Notifica ai soci dell’estinta, salva
entro cinque anni dalla cancellazione
L’introduzione della ficto iuris, diretta alla stabilizzazione degli atti dell'Amministrazione finanziaria, inoltre, non elimina il fenomeno successorio nei confronti dei componenti della compagine
