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Giurisprudenza

Notifica ok, se chi prende il plico
si qualifica addetto alla ricezione

In caso di persona giuridica, in assenza del legale rappresentante in sede, la consegna di un avviso di rettifica può legittimamente avvenire al soggetto lì rinvenuto

vignetta tartaruga postino
È rituale la notificazione postale di un atto tributario eseguita presso la sede effettiva di una società, mediante consegna del piego a persona qualificatasi come “addetta” alla ricezione.
Questo, in sintesi, il principio affermato dalla sezione tributaria della Cassazione con la sentenza n. 26185 del 12 dicembre 2014, ove è stato altresì ricordato che la dichiarazione di essere “addetto” alla ricezione è assistita da presunzione di veridicità che, in assenza di prova contraria, non consente al giudice di disconoscere la regolarità dell’attività di notifica.
 
La vicenda e il ricorso
Una società proponeva ricorso tardivo (oltre due anni dopo la notifica) avverso un avviso di rettifica Iva per l’anno 1997.
La Commissione tributaria provinciale, in adesione alle tesi del contribuente, accoglieva l’impugnazione, annullando l’atto.
 
La pronuncia veniva riformata dalla Commissione regionale che, condividendo l’assunto dell’ufficio, dichiarava la tardività della proposizione dell’originario gravame.
In particolare, il collegio di seconde cure osservava che la notifica dell’avviso fiscale era correttamente avvenuta, presso lo stabilimento della società, mediante consegna del plico postale a un’impiegata, qualificatasi come addetta a ricevere l’atto.
La stessa Ctr rilevava anche che la difformità dell’indirizzo, in cui era avvenuta la consegna dell’atto rispetto a quello della sede del contribuente, era irrilevante, perché lo stabilimento della società si affacciava su più strade limitrofe tra loro, secondo quanto documentato dalla planimetria depositata dall’ufficio.
Infine, le informazioni rese dall’impiegata che aveva preso in consegna l’atto, pur non costituendo prova testimoniale vietata nel processo tributario, evidenziavano tuttavia che la stessa era dipendente della società accertata, aveva effettivamente ricevuto il plico postale e non aveva mai negato di aver curato la consegna del plico stesso e/o affermato di averlo tenuto con sé per quasi due anni.
 
La pronuncia del giudice regionale veniva gravata dall’interessato con ricorso per cassazione, affidato a otto motivi, al quale resisteva l’Agenzia delle Entrate.
Per quanto d’interesse in questa sede, la società lamentava che la Ctr aveva:
  1. errato nel ritenere esatta la notificazione, ancorché effettuata in una via non corrispondente con l’indirizzo della sede sociale indicato sulla busta del plico postale
  2. omesso di motivare su fatti decisivi, quali la consegna del plico a persona non addetta alla ricezione della posta e le ragioni della mancata consegna del plico al legale rappresentante e dell’omessa ricerca di altre persone legittimate alla ricezione.
Il ricorrente sosteneva, inoltre, che il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato tempestivo in relazione all’epoca di effettiva conoscenza dell’atto.
 
La pronuncia
La Corte suprema, nel disattendere tutte le doglianze sollevate, ha rigettato il ricorso, condannando l’istante agli oneri del giudizio di legittimità, liquidati in 20mila euro, oltre le spese prenotate a debito.
 
Nella corposa motivazione della sentenza in commento, il Collegio di nomofilachìa ha fondato le proprie conclusioni sul rilievo che, quando un agente notificatore, recatosi presso la sede effettiva di un ente, facendo consegna dell’atto a persona qualificatasi come “addetta” alla ricezione per la società, le attestazioni in parola sono assistite da fede fino a querela di falso, in quanto frutto della diretta attività e percezione del pubblico ufficiale, mentre il contenuto delle notizie apprese circa la sede effettiva e della dichiarazione di chi si sia qualificato “addetto” alla ricezione è “assistito da presunzione iuris tantum, che, in assenza di prova contraria, non consente al giudice di disconoscere la regolarità dell’attività di notificazione”.
In particolare, per quanto si legge nella pronuncia, il giudice di appello – con insindacabile accertamento in fatto logicamente argomentato – aveva verificato che, dalla relazione dell’agente postale, risultava sia che il plico era stato consegnato presso lo stabilimento della società, che si affacciava su più strade, sia che l’impiegata consegnataria si era qualificata come addetta a ricevere l’atto, attestando con la sottoscrizione la qualità dichiarata all’agente postale.
 
Da ciò, conclude la Corte, deriva la regolarità della notificazione dell’atto che, nel caso di persona giuridica, può avvenire mediante consegna a persona addetta alla sede senza che consti la previa infruttuosa ricerca del legale rappresentante e, successivamente, della persona incaricata di ricevere le notificazioni.
 
Osservazioni
La pronuncia in rassegna si segnala per due affermazioni di principio in tema di notificazioni: una di carattere generale, l’altra più specificamente riguardante la notificazione alle persone giuridiche.
 
Sotto il primo profilo, la sentenza conferma l’interpretazione della Corte in tema di rilevanza probatoria delle attestazioni contenute negli atti redatti da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, con riferimento a quanto da questi asserito in sede di effettuazione della consegna di un atto.
Anche nel caso delle notifiche a mezzo del servizio postale, vale la regola generale secondo cui le attestazioni inerenti le attività direttamente svolte dall’agente postale, la constatazione di fatti avvenuti in sua presenza e il ricevimento delle dichiarazioni resegli fanno piena prova fino a querela di falso, limitatamente al loro contenuto estrinseco (cfr Cassazione 9548/2011, 19869/2012 e 20520/2013), mentre le attestazioni, frutto di indicazioni fornite da altri o informazioni assunte, sono assistite da presunzione di veridicità, che può essere superata solo con la prova contraria (cfr Cassazione 13216/2007, 13510/2009, 21817/2012 e 18492/2013).
In sostanza, cioè, il contenuto delle dichiarazioni ricevute dall’agente notificatore (come, nella specie, la qualità dichiarata dal consegnatario di essere “addetto” alla sede dell’ente) o l’esito delle sue ricerche debbono presumersi veritiere sino a contraria dimostrazione – che può essere data con ogni mezzo – da parte di chi contesta la validità della notifica.
 
Per quanto riguarda, invece, il profilo più specifico della notificazione alle persone giuridiche, l’articolo 145 del codice di procedura civile prevede, al primo comma, che la notifica si esegue nella loro sede, mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa ovvero al portiere dello stabile in cui è la sede.
 
Per costante giurisprudenza, la persona rinvenuta nella sede della società si presume addetta alla ricezione degli atti diretti all’ente, incombendo sull’interessato l’onere della prova contraria, che deve sostanziarsi nella dimostrazione che il consegnatario non ha un rapporto di lavoro con la persona giuridica e non ha l’incarico di addetto alla sede per non averne mai ricevuto mandato.
Il rapporto in virtù del quale il soggetto rinvenuto presso la sede dell’ente si considera legittimo consegnatario non deve essere necessariamente di prestazione lavorativa, ma “può risultare anche dall’incarico, pur se provvisorio e precario, di ricevere le notificazioni per conto della persona giuridica”.
 
Con particolare riguardo alle notificazioni postali, ricorda infine la Cassazione, assume rilievo, ai fini della presunzione di legittimazione alla ricezione dell’atto per conto dell’ente, anche la circostanza che il legale rappresentante della società non si sia avvalso della possibilità di indicare i nomi delle persone incaricate, inviando all’ufficio postale di distribuzione la comunicazione scritta prevista dalle condizioni generali del servizio postale (articolo 42, comma 2, Dm 9 aprile 2001).
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