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Giurisprudenza

Notifica ricorso in appello, la norma non si tocca

Rigettata la questione di legittimità costituzionale in ordine all'articolo 53 del decreto legislativo 546/1992

È in parte inammissibile e in parte infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 53, comma 2, del Dlgs 546/1992 - come modificato dall'articolo 3-bis, comma 7, del Dl 203/2005 - sollevata in riferimento agli articoli 2, 3, e 24 della Costituzione, nonché in riferimento alla violazione del principio di ragionevolezza.
Sono le conclusioni della Corte costituzionale contenute nella pronuncia n. 321 del 4 dicembre 2009 che andiamo a esaminare, non prima però di aver ricordato che l'articolo 3-bis del decreto legge 203/2005 (collegato fiscale alla Finanziaria 2006), rubricato "Disposizioni in materia di giustizia tributaria", ha attuato, a decorrere dal 3 dicembre 2005, una parziale riforma del processo tributario intervenendo, in particolare, su alcuni articoli del Dlgs 546/1992.

L'intervento legislativo in esame ha introdotto, all'articolo 53, comma 2, del Dlgs 546 - rubricato "Forma dell'appello" - la seguente precisazione: "Ove il ricorso non sia notificato a mezzo ufficiale giudiziario, l'appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell'appello presso l'ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata".

Nel corso del giudizio d'appello promosso da un contribuente con atto notificato mediante consegna diretta all'ufficio finanziario, la Commissione tributaria regionale della Puglia, con ordinanza del 9 febbraio 2009, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità dell'articolo 53, comma 2, del Dlgs 546/1992, nella parte in cui appunto stabilisce che, laddove il ricorso non sia notificato a mezzo ufficiale giudiziario, l'appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell'appello presso la segreteria della Ctr che ha pronunciato la sentenza impugnata.
I giudici pugliesi precisano che l'appellante aveva impugnato la sentenza di primo grado ma, pur avendo notificato l'atto di gravame mediante consegna diretta, non aveva adempiuto il prescritto obbligo di depositare nella segreteria della Commissione tributaria provinciale una copia dell'appello proposto.

In particolare, la decisione sul merito dell'appello proposto dal contribuente postula una valutazione preliminare in ordine all'ammissibilità dell'appello stesso. A tal fine, se si applicasse la disposizione censurata, la quale, a pena di inammissibilità, impone all'appellante, qualora il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, di depositarne copia presso la segreteria della commissione tributaria, l'appello dovrebbe essere dichiarato inammissibile, con conseguente violazione del diritto di difesa.

Il giudice afferma, prima di tutto, che la ratio dell'articolo 53 è quella di informare la segreteria del giudice di primo grado di una causa ostativa al passaggio in giudicato della sentenza, così come avviene nel caso di notificazione dell'atto di appello a mezzo ufficiale giudiziario - che, ai sensi dell'articolo 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, deve dare immediato avviso scritto della notificazione dell'impugnazione al cancelliere del giudice che ha emesso la sentenza impugnata - per poi concludere con le seguenti censure:
  1. l'articolo 53 prevede un insanabile effetto preclusivo dell'impugnazione collegato a un'attività avente funzione di mera notizia. Tale esigenza, peraltro, è già garantita dal 3° comma della stessa norma laddove dispone che, subito dopo il deposito del ricorso in appello, la segreteria della Ctr chiede all'omologa della commissione provinciale la trasmissione del fascicolo del processo
  2. la norma in esame è poi irragionevole in quanto l'inammissibilità - sanzione di regola connessa al mancato rispetto di un termine essenziale - di cui all'articolo 53 rappresenta una sanzione processuale correlata al compimento di un'azione (il deposito della copia dell'atto di appello presso il giudice di primo grado) in relazione alla quale non è previsto alcun termine perentorio entro il quale deve essere effettuata
  3. infine, l'articolo 53, così come formulato, determina una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che notificano l'appello tramite ufficiale giudiziario (i quali non hanno l'onere di depositare copia dell'appello nella segreteria del giudice di primo grado) e coloro che si avvalgono del servizio postale (i quali, invece, incorrono nella sanzione dell'inammissibilità dell'appello, nel caso in cui l'agente postale non abbia adempiuto l'onere di tale deposito).


La sentenza della Corte costituzionale
La Consulta ha rigettato le presunte violazioni costituzionali rilevate dai giudici tributari pugliesi con riferimento all'articolo 53, in quanto l'ordinanza di rimessione "…non indica le ragioni della ritenuta violazione di tali parametri. In particolare, quanto all'art. 2 Cost., manca nell'ordinanza qualsiasi argomentazione; quanto all'art. 24 Cost., il rimettente si limita al generico ed immotivato rilievo che la disposizione censurata lascia l'appellante 'privo di tutela'".
In ordine alla presunta violazione del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, riguardo alla ingiustificata disparità di trattamento che si creerebbe tra coloro che notificano l'appello tramite ufficiale giudiziario e coloro che si avvalgono del servizio postale, per i giudici costituzionali, la questione è manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza.
Nella specie, infatti, l'appellante ha notificato l'appello mediante consegna diretta all'appellato, tuttavia, "…nel prospettare l'indicata ingiustificata disparità di trattamento, il giudice a quo pone a raffronto il caso della notificazione dell'appello mediante ufficiale giudiziario, non con il caso della notificazione mediante consegna diretta, che costituisce l'oggetto del giudizio principale, ma con quello, del tutto diverso, della notificazione mediante il servizio postale. Né il rimettente fornisce alcuna motivazione sulle ragioni per le quali la denunciata disparità di trattamento avrebbe rilevanza nel giudizio a quo".

Per la Consulta, poi, sono infondate anche le altre questioni poste in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione.
Quanto alla prima, il rimettente individua correttamente la ratio della disposizione censurata, ma sbaglia nel ritenere che tale ratio possa essere soddisfatta dall'evocato comma 3 dell'articolo 53 del Dlgs 546/1992, in quanto "…la richiesta di trasmissione del fascicolo prevista da quest'ultimo comma, infatti, viene avanzata dalla segreteria del giudice di appello solo 'dopo' la costituzione in giudizio dell'appellante e, pertanto (contrariamente a quanto dedotto dal rimettente) non consente alla segreteria del giudice di primo grado di avere tempestiva notizia della proposizione dell'appello. E ciò risulta ancora più evidente se si tiene conto anche del tempo necessario a che la richiesta pervenga alla segreteria della Commissione tributaria provinciale. Detta richiesta non è, perciò, idonea ad evitare il rischio di una erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado…".

Quanto alla seconda questione, in base alla quale la norma denunciata sarebbe irragionevole perché prevede la grave sanzione dell'inammissibilità dell'appello quale conseguenza del mancato compimento, da parte dell'appellante, di un atto estraneo alla struttura del giudizio di gravame, quale sarebbe il deposito di copia dell'atto di impugnazione nel caso di appello proposto senza il tramite di ufficiale giudiziario, la Consulta precisa che nell'ipotesi "…in cui la parte abbia scelto di proporre appello senza avvalersi dell'ufficiale giudiziario, l'unico deterrente per indurre l'appellante a fornire tempestivamente alla segreteria del giudice di primo grado la documentata notizia della proposizione dell'appello stesso è rappresentato dalla sanzione di inammissibilità prevista dalla norma denunciata".

Relativamente alla terza questione, il rimettente afferma che la norma denunciata, nel caso di notificazione a mezzo posta, fa irragionevolmente gravare sull'agente postale (soggetto terzo rispetto alle parti di causa) l'obbligo del deposito della copia dell'appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale e, pertanto, rende arbitro tale terzo dell'inammissibilità dell'appello.
Al riguardo, la Corte di legittimità osserva che il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente è errato "…infatti, nell'ipotesi di notificazione dell'appello a mezzo posta, nessuna disposizione pone a carico dell'agente postale né l'obbligo di depositare presso la segreteria del giudice di primo grado la copia dell'appello notificato, né l'obbligo di effettuare un avviso analogo a quello previsto per l'ufficiale giudiziario dall'art. 123 disp. att. cod. proc. civ. Al contrario, la norma denunciata pone a carico del solo appellante l'onere di depositare la copia dell'appello notificato a mezzo posta".

Infine, quanto alla dedotta irragionevolezza di una disposizione che, pur prevedendo l'inammissibilità dell'impugnazione per il mancato deposito della copia dell'appello nella segreteria del giudice di primo grado, non indica, però, alcun termine perentorio per detto deposito, la Consulta afferma che tale termine "…è sicuramente ricavabile, in via interpretativa, dal complesso delle norme in materia di impugnazione davanti alle Commissioni tributarie…" e "…non può che identificarsi con quello stabilito per la costituzione in giudizio dell'appellante; costituzione che avviene mediante il deposito del ricorso in appello presso la segreteria della Commissione tributaria regionale entro trenta giorni dalla proposizione dell'appello (artt. 53, comma 2, e 22, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 546 del 1992)".

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