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Giurisprudenza

Numerosi pedaggi denotano
un’intensa attività professionale

Il viavai in autostrada suggerisce l’inattendibilità della documentazione contabile e bancaria prodotta dal contribuente e conferma la fondatezza delle presunzioni dell’ufficio

È legittimo l’accertamento nei confronti di professionisti che, pur non fatturando compensi, dichiarano il pagamento di molti pedaggi autostradali: quest’ultima circostanza, infatti, costituisce un chiaro indice presuntivo dello svolgimento di un’attività lavorativa significativa.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione con ordinanza n. 9825 del 19 aprile 2017, respingendo il ricorso del contribuente.
 
La vicenda processuale
Con una sentenza del 2012, la Ctr della Campania, sezione staccata di Salerno, aveva ritenuto fondato e legittimo l’accertamento del maggior reddito nei confronti di un professionista, ex articolo 39 del Dpr 600/1973, confermando la validità degli elementi presuntivi forniti dal Fisco e ritenendo inattendibile la documentazione contabile e bancaria prodotta dal contribuente.
Con il successivo ricorso in Cassazione, il contribuente aveva denunciato la violazione degli articoli 2727 e 2729 del codice civile, in relazione al Dpr sull’accertamento delle imposte sui redditi.
La pronuncia impugnata sarebbe incorsa, inoltre, in un vizio motivazionale, avendo omesso il giudice d’appello di valutare le giustificazioni fornite dal professionista.
 
La pronuncia della Cassazione
Con la sentenza in commento, la Cassazione ha confermato la validità dell’accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, respingendo il ricorso del contribuente, condannato anche al pagamento delle relative spese di lite.
In particolare, la Corte ha ritenuto che il ragionamento dei giudici di seconde cure fosse logico e coerente, posto che era stata valutata una pluralità di circostanze, e specificamente:
  • le risultanze bancarie, da cui emergevano versamenti sospetti in un conto cointestato con la moglie
  • l’entità e il numero dei pedaggi autostradali fatturati, indice di una significativa attività del professionista, a fronte, nel medesimo periodo, dell’assente fatturazione di compensi e in assenza di ulteriori idonee spiegazioni giustificative dei viaggi
  • la conservazione di una partita Iva con espletamento, tuttavia, di una sola (e modesta) attività professionale, tale da indurre a presumere la percezione di ricavi più consistenti a titolo personale.
La Corte ha dunque confermato la sentenza di secondo grado che aveva ritenuto valido il metodo analitico-induttivo seguito dall’Amministrazione.
Tale tipologia di accertamento, come è noto, si rivolge esclusivamente ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, ossia i documenti che contengono la rappresentazione simbolica dell’attività d’impresa e dei suoi risultati, secondo criteri monetari o quantitativi, presupponendo l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione presentata dai contribuenti, constatata attraverso le risultanze delle eventuali istruttorie avviate sulle scritture contabili.
 
In tale tipologia di controllo, infatti, in base a quanto previsto dall’articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr 600/1973 e dall’articolo 54, comma 2, Dpr 633/1972, pur in presenza della validità sostanziale delle scritture contabili, l’Amministrazione ha la possibilità, come avvenuto nel caso di specie, di intervenire sulla rideterminazione complessiva dei ricavi/compensi (o volume d’affari) e dei costi/spese indicati dal contribuente nelle dichiarazioni, nonché di ritenere inattendibili gli elementi concernenti alcune poste di bilancio.
 
La peculiarità di tale metodo accertativo è data dalla circostanza che esso non è direttamente rivolto alla rettifica di singole poste dichiarate dal contribuente, ma caratterizzata dalla circostanza che la prova del suo comportamento scorretto è ricavabile anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, come quelle riscontrate nel caso de quo.
Del resto, non sussistendo nell’accertamento tributario un principio generale di tipicità delle prove, ma solo quello di utilizzabilità dei poteri istruttori attribuiti all’Amministrazione finanziaria, quest’ultima nell’adozione dei propri atti di controllo, può servirsi sia dei mezzi di prova previsti dal codice civile, sia di prove atipiche, non regolate in modo espresso dalla legge, quali, ad esempio, la contabilità in nero, le dichiarazioni rese da terzi, nonché, per l’appunto, i pagamenti dei pedaggi autostradali.
 
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