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Giurisprudenza

Nuove ombre da una vecchia questione

La Consulta torna sulla giurisdizione afferente le sanzioni per l'utilizzo di lavoratori irregolari

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La Consulta, con le ordinanze 394 e 395 del 23 novembre 2007, ha dichiarato manifestamente inammissibili due questioni di legittimità, relative, rispettivamente - la prima - all'articolo 3, comma 5, Dl 12/2002, nella parte in cui omette di individuare e di disciplinare la legittimazione soggettiva a riscuotere e le modalità della riscossione coattiva della sanzione per l'utilizzo di lavoratori irregolari irrogata dall'agenzia delle Entrate, e - la seconda - al divieto di prova testimoniale nel processo tributario (sempre relativo all'impugnazione di sanzioni in materia di lavoro irregolare).

La Corte ha basato il proprio convincimento, per entrambe le questioni, sulla considerazione che il giudice a quo non aveva motivato espressamente circa la riconducibilità alla giurisdizione tributaria della controversia in materia di sanzioni per lavoro irregolare.

In particolare, nel primo caso, la questione era stata sollevata in riferimento all'articolo 3 della Costituzione.
Il testo originario dell'articolo 3, comma 5, Dl 12/2002, stabiliva la competenza dell'agenzia delle Entrate in relazione all'irrogazione della sanzione amministrativa, prevista per l'utilizzo di lavoratori irregolari dal precedente comma 3, nonché l'applicabilità delle disposizioni del Dlgs 472/1997, ad eccezione dell'articolo 16, comma 2.
Attualmente, l'articolo 36-bis, comma 7, lettera b), Dl 223/2006, oltre a modificare la sanzione prevista per l'utilizzo di lavoratori irregolari, ha sostituito la norma, disponendo che all'irrogazione di tale sanzione provvede la direzione provinciale del Lavoro territorialmente competente.

Ciononostante, come si anticipava sopra, la pronuncia è di un certo interesse nella parte in cui affronta il tema della giurisdizione delle Commissioni tributarie.

Nel secondo caso, alla Corte era stato sottoposto ancora una volta il dubbio sulla legittimità costituzionale del divieto di prova testimoniale nel processo tributario (articolo 7, Dlgs 546/1992), questa volta con riferimento al processo per la impugnativa delle sanzioni per il lavoro irregolare.
La Consulta, anche in tale ipotesi, ha ritenuto che il giudice a quo non avesse adeguatamente esplorato la possibilità di negare la giurisdizione tributaria per tale tipo di controversia; ove, infatti, fosse stata ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario, il problema del divieto di prova testimoniale sarebbe stato escluso in radice.

I giudici, quindi, hanno dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione in punto di rilevanza: il giudice a quo - in entrambe le ipotesi - non ha motivato espressamente circa la riconducibilità alla giurisdizione tributaria della controversia sottoposta al suo esame, nonostante l'esistenza - a parere della Consulta - di orientamenti non univoci sul punto.
Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, poiché la disposizione stabilisce la competenza dell'agenzia delle Entrate, le relative controversie apparterrebbero al giudice tributario, il quale, ai sensi dell'articolo 2 del Dlgs 546/1992, conosce "tutte le controversie aventi ad oggetto ... le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari".
Per contro, vi sarebbe un opposto orientamento che "esclude la sussistenza della giurisdizione tributaria dal momento che - secondo quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 144 del 1998 - presupposto necessario affinché la previsione della giurisdizione tributaria possa ritenersi conforme a Costituzione (art. 102, secondo comma) sarebbe che la cognizione attenga a controversie connesse a tributi, mentre la sanzione di cui all'art. 3 del decreto legge n. 12 del 2002 avrebbe solo indirettamente valenza tributaria, concernendo, invece, in via diretta l'elusione degli oneri contributivi e la violazione di norme previdenziali".

La Corte ha, quindi, posto in dubbio la sussistenza della giurisdizione tributaria sulla materia, affermando, conseguentemente, la necessità - ai fini della ammissibilità della questione di costituzionalità - per il giudice remittente di non limitarsi a considerare il solo dato formale e soggettivo, relativo all'ufficio competente a irrogare la sanzione. Egli deve, al contrario, verificare la possibilità di seguire una diversa interpretazione conforme a Costituzione, "valorizzando, in particolare, la natura tributaria del rapporto cui deve ritenersi imprescindibilmente collegata la giurisdizione del giudice tributario" (ordinanze 34/2006, 35/2006, 95/2006).

In conclusione, la Consulta ha chiesto ancora una volta ai giudici di merito di effettuare l'"interpretazione adeguatrice" (o interpretazione orientata ai principi), unico strumento che "consenta di ricostruirne [della disposizione sotto esame] la portata in sintonia con i principi della Costituzione, in modo da attribuire alla normativa, tra i plurimi significati astrattamente possibili, quello che non sia in contrasto con i valori costituzionali" (Cassazione, sezioni unite penali, 30 maggio-19 luglio 2006, n. 25084), onde evitare il (frequente) rimprovero espresso dal giudice delle leggi, per lo più con decisioni il cui dispositivo recita "dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione" ma anche, più drasticamente, "dichiara la manifesta infondatezza della questione".

È - non pare il caso di ricordare - preciso dovere (da parte del giudice del merito) di evitare di sollevare eccezioni inutili e di fare propria "l'interpretazione da lui ritenuta più adeguata ai principi costituzionali, configurandosi, altrimenti, la questione di costituzionalità quale improprio strumento volto ad ottenere l'avallo della Corte a favore di una determinata interpretazione della norma" (Corte costituzionale, ordinanza 23-26 maggio 2005, n. 211; conforme, Cassazione, sezioni unite penali, 20 dicembre 2005-6 febbraio 2006, n. 4687).

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