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Giurisprudenza

Nuovo domicilio, nuova competenza:
lo ius variandi vuole la buona fede

Se nella denuncia dei redditi il contribuente indica l'"indirizzo" fiscale in un luogo diverso da quello precedente, non può invocare la difformità per eccepire l'illegittimità dell'azione dell'ufficio

La variazione del domicilio fiscale effettuata in sede di dichiarazione dei redditi rileva ai fini della determinazione dell’ufficio territorialmente competente. Eventuali modifiche in dichiarazione, infatti, costituiscono esercizio dello ius variandi che va esercitato in buona fede, nel rispetto del principio del “legittimo affidamento” che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario; il contribuente che abbia indicato nella propria denuncia dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente, non può invocare questa difformità per eccepire un’eventuale incompetenza per territorio.
Lo ha precisato la Corte di cassazione, dando ragione all’Amministrazione finanziaria, con l’ordinanza 8747 dello scorso 10 aprile.

I giudizi di merito
Successivamente alla notifica di una cartella di pagamento emessa a seguito di un controllo formale sulla dichiarazione dei redditi, una contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, eccependo l’incompetenza territoriale dell’ufficio impositore in relazione al proprio domicilio fiscale.
Sosteneva, in particolare, che l’ufficio (di Frosinone) che aveva emesso la cartella impugnata fosse incompetente sotto il profilo territoriale, in quanto la contribuente risiedeva e aveva, quindi, il domicilio fiscale, in altro comune di altra provincia (Caserta).
I giudici di merito, sia di primo che di secondo grado, accoglievano le ragioni della contribuente.

L’Agenzia delle entrate ha presentato ricorso presso la suprema Corte per chiedere la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 58 del Dpr 600/1973, per avere, i giudici di appello, ritenuto incompetente l’ufficio impositore nonostante la contribuente avesse indicato nella dichiarazione dei redditi, ancorché tardivamente presentata, il proprio domicilio fiscale proprio in un comune sito nella circoscrizione di competenza del ricorrente.

La decisione della suprema Corte
La Cassazione ha accolto il ricorso della difesa erariale. I giudici di legittimità hanno immediatamente evidenziato come dalla dichiarazione dei redditi presentata dalla contribuente, nello spazio riservato all’indicazione della “residenza anagrafica o (se diverso) domicilio fiscale” fosse riportato l’indirizzo del comune di Sant’Ambrogio sul Garigliano, in provincia di Frosinone.
 
La Corte, riprendendo il proprio orientamento sul tema, ha riaffermato il principio secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la competenza territoriale dell’ufficio accertatore è determinata dall’articolo 31 del Dpr 600/1973, secondo cui “la competenza spetta all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata”.
Ad avviso dei giudici di piazza Cavour, la variazione del domicilio fiscale comunicata in sede di dichiarazione annuale dei redditi costituisce atto idoneo a renderne edotta l’Amministrazione, non solo ai fini della notificazione degli atti, ma anche ai fini della legittimazione a procedere, che spetta, appunto, “all’ufficio nella cui circoscrizione il contribuente ha indicato il nuovo domicilio”.

Tale ius variandi deve essere, peraltro, esercitato in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario. Pertanto, “il contribuente che abbia indicato nella propria denuncia dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente, non può invocare detta difformità, sfruttando a suo vantaggio anche un eventuale errore, al fine di eccepire, sotto il profilo dell’incompetenza per territorio, l’invalidità dell’atto impositivo emesso dall’ufficio competente in base al domicilio da lui stesso dichiarato” (Cassazione, sentenze 25680/2016, 11170/2013, 5358/2006).

La “buona fede” implica, a carico di entrambe le parti, non solo un atteggiamento leale, non capzioso e non contraddittorio, ma anche la necessità di operare per un rapporto fiscale semplice nei modi d’attuazione, trasparente nelle procedure e ampiamente condiviso. Peraltro, anche la Corte costituzionale aveva già colto (sentenza 51/1992) il forte nesso tra principio di correttezza e adempimento dell’obbligazione di concorso alle pubbliche spese, qualificando la condotta dell’evasore come caratterizzata da una “slealtà sociale”.
 
Del resto, se in tema di notificazione degli avvisi di accertamento relativi alle imposte sui redditi, la variazione dell’indirizzo comunicata con la dichiarazione annuale dei redditi è atto idoneo, ai sensi dell’articolo 60 del Dpr 600/1973, a rendere noto all’ufficio il nuovo domicilio fiscale del contribuente cui vanno rivolti gli occorrenti adempimenti notificatori, “non si vede perché – precisano i giudici di legittimità – il principio non dovrebbe valere anche con riferimento alla legittimazione a procedere di quello stesso ufficio situato dove il contribuente ha indicato il proprio domicilio” (Cassazione 5358/2006).

Appare opportuno, altresì, rammentare che le notificazioni degli atti tributari vanno eseguite al domicilio fiscale del contribuente (articolo 60 del Dpr 600/1973) che, per le persone fisiche si identifica con quello del Comune nella cui anagrafe sono iscritte (articolo 58 del Dpr 600/1973).
Il disposto dell’articolo 60, comma 3, del Dpr 600/1973 (alla cui stregua le variazioni e modificazioni di indirizzo risultanti dai registri anagrafici “hanno effetto” ai fini delle notifiche degli atti dell’Amministrazione finanziaria, ancorché soltanto dal trentesimo giorno successivo alla variazione anagrafica), non autorizza la conclusione che dovendo in ogni caso l’ufficio, prima di notificare un atto al contribuente, controllare, mediante una verifica sui registri anagrafici, l’attualità dell’indicazione della residenza contenuta nella dichiarazione dei redditi – detta indicazione sia priva di effetti ai fini della notifica degli atti dell’Amministrazione finanziaria.
Tale interpretazione renderebbe del tutto priva di scopo l’indicazione della residenza nella dichiarazione dei redditi, prescritta dall’articolo 58, comma 4, del Dpr 600/1973 (Cassazione 25680/2016).
Altro è il caso di un cambio di residenza e altro è il caso di una originaria difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi. In quest’ultima ipotesi, infatti, la notificazione che si sia perfezionata presso l’indirizzo indicato nella dichiarazione dei redditi deve considerarsi valida, nonostante che tale indicazione sia difforme rispetto alle risultanze anagrafiche.
Pertanto, posto che l’Amministrazione finanziaria era a conoscenza del domicilio della contribuente, come indicato nella dichiarazione presentata, era valida la notificazione dell’atto impositivo nel domicilio in essa indicato.

La sentenza della Ctr impugnata, attribuendo prevalenza alla residenza anagrafica della contribuente, non si è attenuta ai principi espressi, a più riprese, dalla giurisprudenza di legittimità; la pronuncia di secondo grado è stata, di conseguenza, cassata e la causa rinviata alla competente Commissione tributaria regionale per l’esame delle questioni rimaste assorbite e per regolamentare anche le spese del giudizio di legittimità.
 
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