Per godere dell’esenzione da Iva ex articolo 10, comma 1, n. 18, Dpr n. 633/1972, le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie devono essere effettuate da soggetti che, secondo le norme vigenti, siano abilitati all’esercizio dell’attività svolta. Di conseguenza, l’esenzione non spetta per le prestazioni rese dal contribuente che abbia esercitato abusivamente l’attività di odontoiatra senza essere iscritto al relativo albo e, quindi, senza essere titolare di determinati requisiti di idoneità professionale richiesti dalla legge nazionale. Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza n. 15411 del 3 giugno 2021.
I fatti
A seguito di una verifica condotta dalla guardia di finanza nei confronti di uno studio dentistico, è emersa la mancanza di documentazione amministrativo – contabile della ditta per gli anni 2005-2009, l’assenza di titolarità di partita Iva del professionista (cessata nel 2003) e, inoltre, del possesso del titolo di studio per poter esercitare la professione medica. La Gdf, inoltre, ha rinvenuto documentazione extracontabile (un’agenda) relativa a numerose schede clienti, manoscritte dal professionista e intestate ai pazienti che avevano ricevuto le prestazioni odontoiatriche, recanti altresì la data e gli acconti ricevuti. Il contenuto del pvc è stato integralmente recepito nell’avviso di accertamento relativo (anche) all’anno d’imposta 2005, con il quale l’ufficio ha recuperato, oltre imposte dirette e Irap, anche l‘Iva.
Il contribuente ha proposto ricorso sostenendo di avere diritto alla esenzione, anche se non iscritto all'apposito albo, sul presupposto che non si giustifica un differente trattamento Iva sulla base di una disciplina extrafiscale relativa alle modalità di esercizio dell'attività o ai requisiti soggettivi di coloro che la svolgono.
Diversamente dalla Commissione provinciale che ha accolto il ricorso, il giudice di secondo grado ha riformato in parte la sentenza impugnata, ritenendo fondato l’appello dell’ufficio solo per il reddito imponibile ai fini Irpef. In particolare, con riferimento all’esenzione Iva ex articolo 10, n. 18, Dpr n. 633/1972, la Commissione regionale ha ritenuto che si trattava di un'agevolazione di carattere oggettivo, rispetto alla quale non rilevava la qualifica del soggetto che aveva effettuato la prestazione. Ciò in quanto anche l’articolo 13, direttiva CEE n. 388 del 17/5/1977, tra le prestazioni esenti da Iva, fa riferimento alle prestazioni mediche effettuate nell'esercizio delle professioni quali sono definite dagli Stati membri interessati (lettera c) e alle prestazioni di servizi effettuate nell'esercizio della loro professione dagli odontotecnici, nonché alle forniture di protesi dentarie effettuate dai dentisti e dagli odontotecnici (lettera f).
L’ufficio ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra l’altro, violazione e falsa applicazione dell’articolo 10, n. 18, Dpr n. 633/1972 e dell'articolo 13, direttiva 77/388 CEE: la Commissione regionale aveva ritenuto esente da Iva l'attività di odontoiatra svolta dal contribuente poiché, a suo parere, pure essendo esercitata senza iscrizione all'albo, quindi abusivamente, l’attività svolta rilevava in sé, non per i caratteri del soggetto che la esercitava.
La Corte ha accolto il motivo di ricorso e ha ribadito (sentenze n. 5984/2001, n. 7411/2001, n. 7422/ 2001, n. 4987/2003, n. 19007/2005, n. 21703/2010 e n. 9076/2021) che «in tema di IVA, le prestazioni per cure mediche e paramediche rese alla persona nell'esercizio delle professioni ed arti sanitarie in virtù del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 18, sono esenti dall'imposta solo se effettuate da soggetti abilitati al rispettivo esercizio, trattandosi di requisito espressamente contemplato dalla norma, in mancanza del quale la prestazione non assume, sul piano normativo, carattere sanitario. Deve inoltre escludersi che siffatta, norma sia in contrasto con la direttiva CE n. 388 del 1977, in quanto la normativa comunitaria in tema di neutralità dell'IVA e l'interpretazione offertane dalla Corte di giustizia della Comunità Europea non impongono di riconoscere l'esenzione dalla succitata imposta per le prestazioni che, secondo la legge nazionale, possono essere effettuate soltanto da soggetti titolari di determinati requisiti di idoneità professionale» (Cassazione, ordinanza n. 15411/21).
Osservazioni
Nella fattispecie in esame i giudici di piazza Cavour si sono pronunciati sulla specifica questione della spettanza o meno dell'esenzione da Iva per attività “oggettivamente medica ma soggettivamente abusiva”, affermando che le prestazioni possono essere esenti da imposta solo se effettuate da soggetti che, secondo le norme in vigore, presentano determinati requisiti. Al riguardo hanno affermato che sono assoggettati a Iva i compensi percepiti nell'esercizio di attività odontoiatrica ancorché la stessa sia stata esercitata abusivamente, da soggetto non iscritto all'albo.
Posto che l’Iva ha come presupposto oggettivo (anche) le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell'esercizio di professioni e che, come imposta a carattere generale, si applica tendenzialmente a tutte le suddette operazioni, non è escluso che, per motivi specifici e particolari, il legislatore abbia ritenuto di individuare ipotesi eccezionali di esenzioni, tassativamente previste dall’articolo 10, Dpr n. 633/1972, norma derogatoria rispetto al principio della generale applicabilità dell'imposta. In tale contesto, salvo restare soggetti alla disciplina generale, grava sui contribuenti, che vogliano godere dell’esenzione per le prestazioni rese «nell’esercizio » delle professioni e dell’arte sanitaria, l’onere di dimostrare che le operazioni da loro effettuate hanno le specifiche caratteristiche indicate (Cassazione, n. 7411/2001) tanto in sede unionale (articolo 13, parte A, lettera c), VI direttiva) che nazionale (articolo 10, comma 1, n. 18, Dpr n. 633/1972).
In particolare, l’articolo 13 citato qualifica come esenti, genericamente, le prestazioni mediche effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dagli Stati membri interessati. La norma, cioè, delega agli Stati membri la definizione di attività medica che, per quanto riguarda l’Italia, è definita in relazione all’attività svolta “nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza”. L’articolo 10 citato, infatti, in linea con il dato sopranazionale del quale costituisce sostanziale recepimento, stabilisce che sono esenti da Iva “le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell’art. 99 del Testo Unico delle leggi sanitarie, ovvero individuate da ultimo con il decreto del Ministro della salute, emanato il 17 maggio 2002, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze”. Il legislatore nazionale, cioè, ha inteso agevolare l’attività medico-sanitaria legittimamente svolta e, quindi, ha subordinato il godimento dell’esenzione alle prestazioni previste dalle norme che disciplinano sia le professioni mediche, sia il relativo esercizio assoggettandole, fra l’altro, a vigilanza.
Le prestazioni mediche, infatti, intanto vengono esentate dal legislatore nazionale qualora l’operazione sia connotata dalla presenza congiunta dei seguenti presupposti: (i) deve trattarsi di prestazioni mediche o paramediche finalizzate alla diagnosi, alla cura o alla riabilitazione della persona incluse nel numerus clausus non suscettibile di estensione interpretativa; (ii) tali prestazioni devono essere rese da i soggetti richiamati nella disposizione, ossia da coloro che risultano sottoposti alla vigilanza prevista dalla normativa sanitaria, o comunque siano indicati nell’apposito decreto interministeriale.
In particolare, il fatto che l'attività sia soggetta a vigilanza e il richiamo al Testo unico delle leggi sanitarie implica che deve trattarsi di attività consentita e vigilata secondo le disposizioni del TU, quindi esercitata legalmente, essendo l'operatore in possesso dei requisiti professionali previsti dalla legge poiché non è «… non essendo… possibile eludere il requisito cd. soggettivo, la cui mancanza finisce per riverberarsi sulla stessa natura ‘sanitaria’ della prestazione e, così, sull’idoneità, determinata per legge, a tutelare il diritto alla salute del cittadino…» (tra le tante, Cassazione, n. 5984/2001).
All’orientamento di legittimità ha aderito l’Agenzia delle entrate (circolare n. 76/2002) che, nell’interpretare l’articolo 10, comma 1, n. 18, Dpr n. 633/1972, ha chiarito che l’esercizio abusivo della professione medica non può fruire del trattamento di esenzione dall’Iva, in quanto le prestazioni effettuate da soggetti sprovvisti di abilitazione allo svolgimento delle professioni sanitarie sottoposte a vigilanza non sono, oggettivamente, riconducibili alla previsione dell’articolo 10, n. 18, Dpr n. 633/1972.
La “posizione nazionale”, inoltre, risulta conforme al principio generale, affermato in sede unionale, secondo il quale sono imponibili a Iva le operazioni effettuate anche nello svolgimento di attività illecite. Al riguardo, infatti, la Corte di giustizia Ue ha affermato che ai fini del riconoscimento dell’esenzione, devono sussistere entrambe le condizioni previste dall’articolo 13, VI Direttiva, vale a dire che si tratti di prestazioni mediche e che siano fornite da persone in possesso di determinate qualifiche professionali (sentenze 10 settembre 2002, causa C-141/00 e 6 novembre 2002, C-45/01), a prescindere dalla forma giuridica del prestatore che le pone in essere (non esclusa società di capitali o fondazione di diritto privato), dal momento che la legge non vieta l'organizzazione e l'erogazione delle prestazioni mediche da parte di una società mediante professionisti abilitati, avendo il beneficio fiscale una valenza oggettiva (Cassazione, n. 21703/2010).
Sarà il giudice del rinvio che effettuerà un nuovo esame della controversia in considerazione dei principi enunciati dalla Corte.