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Giurisprudenza

Omologa forzosa, nessuna fretta
per il cram down fiscale

Non è possibile anticipare i tempi, il ricorso per il mancato consenso del Fisco non può essere presentato prima dei termini concessi all’Amministrazione per decidere se aderire o no alla proposta di transazione

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Per il tribunale di Roma è inammissibile il ricorso per l’omologa forzosa di un accordo di ristrutturazione dei debiti depositato prima del termine di 90 giorni dalla proposta di transazione. Con le pronunce n. 153 del 2 marzo 2023 e n. 163 del 6 marzo 2023 i giudici della capitale affrontano la questione del presupposto temporale per la richiesta di cram down ovvero per la richiesta al Tribunale di omologa forzosa in ipotesi di mancanza di adesione (palese o tacita) da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Sentenza n. 153/2023
Il Tribunale precisa, in primo luogo, che il funzionamento degli accordi di ristrutturazione è rimasto sostanzialmente invariato nel passaggio dalla legge fallimentare al nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza (Dlgs n. 14/2009).
Così come in passato è prevista infatti:

  • una fase di trattative tra il debitore e i creditori sui tempi e modi di ristrutturazione del debito, sulla base di un piano attestato
  • la presentazione presso il Tribunale dell'accordo raggiunto e della documentazione a supporto
  • la fase dell’omologazione che prevede la previa decisione delle opposizioni eventualmente presentate nel termine di 30 giorni (dalla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese) dai creditori dissenzienti.

Tale scansione procedimentale e temporale, precisano i giudici, è necessaria e inderogabile in quanto l’accordo di ristrutturazione si qualifica come atto negoziale stipulato e perfezionato con una determinata percentuale dei creditori, e deve essere idoneo, ex articolo 57, comma 3, del Codice della crisi d’impresa, a garantire il pagamento integrale dei creditori estranei e rimane invariata anche qualora all’accordo si accompagni una richiesta di transazione fiscale (o previdenziale).

Il presupposto, quindi, per la richiesta di omologazione è il raggiungimento dell’accordo con la prescritta percentuale dei creditori, in assenza del quale il tribunale dovrebbe dichiarare l'inammissibilità della domanda, salva l'ipotesi di cram down ovvero la possibilità, da parte del debitore, di poter richiedere al tribunale di omologare forzosamente l’accordo in assenza di adesione alla proposta da parte dell'Erario (e al ricorrere di talune condizioni).
In tale eventualità, evidenziano i magistrati, si ha un'apparente sfasatura temporale in quanto l’articolo 63, comma 2 ultimo periodo, CCII, prevede che “l'eventuale adesione deve intervenire entro novanta giorni dal deposito della proposta di transazione” e, di conseguenza, affinché il debitore possa legittimamente affermare che non è intervenuta adesione nei termini da parte dell’ufficio e possa, di conseguenza, chiedere al tribunale di omologare forzosamente l’accordo, è necessario che il termine di 90 giorni sia inutilmente decorso.
Conclude, pertanto, il tribunale dichiarando l’inammissibilità del ricorso presentato contestualmente al deposito della proposta di transazione all’ufficio, in assenza del consenso di quest’ultimo e in quanto, alla data del deposito, non era ancora decorso il termine di 90 giorni per l’eventuale adesione.
 
Sentenza 163/2023
Nella seconda pronuncia, i giudici capitolini precisano ulteriormente le conclusioni di cui alla precedente sentenza affermando che, dalla lettura coordinata degli articoli 48 comma 4, 57, e 63 commi l, 2 e 2-bis CCII, si evince che la formulazione della proposta transattiva appartenga alla fase delle trattative che precedono la stipula degli accordi di ristrutturazione e che la domanda di omologa di detti accordi possa essere presentata solo dopo che:

  • sia intervenuta l’adesione da parte dei competenti uffici alla proposta transattiva
  • o sia stato manifestato dagli stessi uffici il diniego alla proposta
  • oppure sia decorso il termine di 90 giorni dalla presentazione della proposta, senza che i competenti uffici abbiano manifestato la loro volontà adesiva o non adesiva, potendo, in questi ultimi due casi, esplicarsi il giudizio di cram down da parte del tribunale.

A favore di tale conclusione depone anche la semplice constatazione che consentire siffatto giudizio anticipato potrebbe astrattamente portare ad “un conflitto non risolubile tra antinomiche determinazioni” nell’ipotesi, ad esempio, in cui il Tribunale ritenga non conveniente la proposta transattiva e successivamente, ma nei termini di cui all’articolo 63, comma 2, ultimo periodo CCII, gli uffici competenti aderiscano invece alla proposta.
Invero, conclude il Tribunale, è proprio la fattispecie di formazione del silenzio rifiuto congegnata dai commi 2 e 2-bis dell’articolo 63 CCII a imporre che il giudizio di cram down debba essere effettuato solo dopo il decorso di detto termine e che, quindi, alla data di deposito della domanda di omologa tale termine debba essere interamente decorso, non potendo ipotizzarsi che si adisca il tribunale per ottenere una pronuncia che sostituisca un atto non ancora compiuto e che potrebbe ancora compiersi.

Osservazioni
L’orientamento espresso dai giudici romani, confermativo, invero, di una precedente pronuncia del Tribunale di Catania del 19 gennaio 2023, ha il merito di risolvere alcuni dubbi e perplessità che riguardano l’applicazione dell’articolo 48 CCII.
Stabilisce il comma 4 di tale disposizione che, qualora venga depositata (in tribunale) una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, l’opposizione da parte dei creditori (e di ogni altro interessato) deve intervenire con memoria depositata entro 30 giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese.
Il problema nasce laddove il deposito del ricorso in tribunale (e conseguente iscrizione della domanda nel registro delle imprese) avvenga in maniera più o meno contestuale al deposito della proposta di transazione presso l’ufficio.
Una situazione, neanche infrequente nella pratica (come dimostrano le due pronunce richiamate), che non solo è foriera, come evidenziato dai giudici, di possibili e insanabili contrasti di valutazione, ma che si pone in contrasto con l’articolo 63, comma 2 ultimo periodo, CCII, poiché determina un’indebita limitazione dello spatium deliberandi di 90 giorni che proprio tale disposizione concede all’Amministrazione per manifestare l’eventuale adesione o meno alla proposta.
Alla luce di ciò fissare, come hanno fatto i giudici nei casi citati, il principio secondo cui non è possibile (a pena d’inammissibiltà del ricorso) depositare in Tribunale una domanda di omologazione forzosa di un accordo di ristrutturazione, se prima non è decorso il termine di 90 giorni dalla presentazione all’ufficio, vuol dire adottare una linea interpretativa che consente di superare questo apparente disallineamento tra le norme, consentendo in tal modo, non solo al Tribunale, di poter conoscere se vi è stata o meno l’adesione alla proposta ma, soprattutto, al creditore pubblico di non vedersi limitare ingiustamente il termine a propria disposizione e poter valutare la proposizione dell’eventuale opposizione (da effettuarsi nel breve termine di 30 dal deposito in camera di Commercio) solo per far valere le sue ragioni una volta decorsi i 90 giorni dal ricevimento della proposta.

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