Il fatto
La società lamentava, invece, che si trattava di un conto bancario estraneo e autonomo e, soprattutto, che non era in alcun modo dimostrata la riconducibilità delle movimentazioni a operazioni in evasione di imposta poste in essere dall’azienda.
Nel ricorso per Cassazione l’ufficio finanziario sottolineava accertata la riconducibilità del conto bancario ai soci della srl, stante la possibilità di operarvi direttamente e il legame di parentela. A parere del Fisco, incombeva sul contribuente, e non sull’Amministrazione, dimostrare l'estraneità delle movimentazioni rispetto alle operazioni aziendali.
La decisione
Nel caso in esame, in particolare, tutti i soggetti coinvolti facevano riferimento ai soci della società o a prossimi congiunti e quindi a un’impresa, come quella verificata, a ristretta base familiare sia ai fini della gestione sia ai fini dell’amministrazione, vincoli, questi, sufficienti a riferire all’azienda, contrariamente a quanto preteso dal contribuente, le movimentazioni di conti intestati a persone fisiche comunque riferibili alla stessa, con evidente salvezza della prova liberatoria, ai sensi dell’articolo 2697 del codice civile, fornita dal contribuente (cfr Cassazione, sentenze nn. 1728/1999, 8683/2002, 13391/2003, 4357/2007, 6743/2007, 27032/2007 e 26836/2008).
Si può quindi affermare, al riguardo, che è legittimo l’accertamento operato dall’Amministrazione finanziaria la quale deduca e contesti – anche per il tramite di presunzioni – la natura fittizia dell’intestazione di conti correnti formalmente imputabili a soci, amministratori o procuratori generali e, comunque, la sostanziale riferibilità alla società – caratterizzata altresì da una ristretta base partecipativa e, quindi, da una rafforzata “affectio societatis” – di movimenti bancari dai quali siano desumibili dati ed elementi atti a giustificare la rettifica del reddito imponibile (Cassazione, sentenza n. 19362/2008).
E’ da aggiungere che la pronuncia in esame ha confermato anche altri importanti principi, tra i quali è degno di essere ricordato che la Cassazione ha già avuto modo di affermare ripetutamente (sentenze nn. 2821/2008, 10964/2007, 14675/2006, 13808/2005 e 7267/2002) che la legittimità dell’utilizzazione dei movimenti dei conti correnti bancari non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell'accertamento, atteso che l’articolo 32 del Dpr 600/1973 prevede il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell’Amministrazione tributaria e non già di un obbligo per la stessa.
Osservazioni
Peraltro, anche di recente (sentenza n. 17390/2010) la Suprema corte ha affermato che “in presenza di un conto bancario non intestato al contribuente, ma ad un suo familiare, i verbalizzanti prima, e l’ufficio in seguito, possono sottoporre ad indagine i conti bancari intestati esclusivamente a terzi o familiari (nella specie, al coniuge) in presenza di presunzioni idonee a ritenere che tali conti siano stati utilizzati nella attività commerciale della impresa del contribuente indagato. Una volta acclarate tali presunzioni (anche semplici, purché dotate di gravità, precisione e concordanza) prende vigore la inversione dell’onere della prova di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e pertanto è il contribuente che deve provare la estraneità delle operazioni alla attività commerciale, e non l’Ufficio il contrario”.
Né è da sottovalutare, infine, la circostanza che il Collegio ha ritenuto degne di rilievo le doglianze espresse nel ricorso in quanto nell’ambito dell’accertamento ha assunto carattere di decisività il silenzio serbato dal contribuente alla richiesta di chiarimenti in ordine ai movimenti bancari contestati. La mancata giustificazione delle movimentazioni sui conti, elevata a rango di indizio (determinante) in ragione delle relazioni di natura personale e di rappresentanza organica fra le persone fisiche titolari dei rapporti e dei conti esaminati e la società contribuente, è stata valutata quale comportamento liberamente apprezzabile dal giudice, in ragione del principio processuale in materia di prova dettato dall’articolo 116 del codice di procedura civile, ma soprattutto in virtù del principio sostanziale “… se il contribuente non dimostra…”, contenuto nell’articolo 32, comma 1, n. 2), Dpr 600/1973.