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Giurisprudenza

Paga l’Iva l’incentivo ricevuto
per “incoraggiare” il finanziamento

Il corrispondente sconto applicato dalla concessionaria al cliente che acquista l'auto costituisce un’integrazione del prezzo della cessione e come tale deve essere considerato ai fini fiscali

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Nell’ultimo periodo, l’Amministrazione finanziaria sta analizzando i rapporti commerciali intercorsi tra le varie concessionarie e le finanziarie delle case automobilistiche, comunemente dette captive bank.
In particolare, il focus viene posto sulle remunerazioni aggiuntive riconosciute dalle “captive bank” alle concessionarie. Tali corrispettivi sono qualificabili come “remunerazioni indirette”, ovvero compensi corrisposti con l’obiettivo di incentivare le vendite di automobili, sulla base dei piani commerciali e delle comunicazioni periodiche predisposte dal gruppo automobilistico, per il tramite della “captive bank”. Quindi, questi incentivi non vengono riconosciuti per sostenere l’attività di intermediazione finanziaria, ma le vendite del gruppo automobilistico di cui fa parte la finanziaria.

Questo tipo di incentivazione può considerarsi come un’integrazione di prezzo delle cessioni delle autovetture al cliente finale da parte della “captive bank”, conseguentemente tale remunerazione deve considerarsi imponibile ai fini Iva, infatti l’articolo 11, parte A, paragrafo 1 della sesta direttiva 77/388/Cee, successivamente trasfuso nell’articolo 73 della direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2016, stabilisce che la base imponibile Iva è costituita “per le forniture di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui alle lettere b), c) e d), da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni”.

In ambito domestico, il combinato disposto di cui agli articoli 3 e 13, comma 1, ultima parte, del Dpr n. 633/1972 (decreto Iva), stabilisce che “La base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall'ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all'esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”.
Riguardo tale fattispecie si è appena espressa la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, con la sentenza n. 12991 del 21 novembre 2022, la quale si è allineata all’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, ovvero concordando sull’imponibilità Iva delle remunerazioni aggiuntive riconosciute dalle “captive bank”.

Fatto di causa
Una concessionaria di autovetture è stata oggetto di attività istruttoria, dalla quale è emerso che la stessa intratteneva rapporti con la “captive bank” del gruppo automobilistico di cui è concessionaria, e riceveva incentivi per la proposizione di finanziamenti al cliente finale.
L’input alla verifica fiscale era il fatto che le dichiarazioni Iva nel periodo 2014-2018 registravano un costante e progressivo incremento del credito Iva.
Dal controllo è emerso che la società verificata aveva quel credito anche per effetto dei forti sconti praticati ai clienti finali che accendevano un finanziamento con la banca del suddetto gruppo sui veicoli nuovi.
La concessionaria, in molti casi, aveva applicato al cliente finale un prezzo inferiore rispetto a quanto aveva pagato l’autovettura alla casa produttrice. Per tale motivo, aveva emesso fatture attive per un imponibile più basso di quello portato dalle corrispondenti fatture passive, incassando, di conseguenza, meno Iva di quella pagata.

Questa politica commerciale ha di fatto portato all’azzeramento degli utili ritratti dalle singole operazioni di vendita delle autovetture, ma al contempo aveva generato un cospicuo credito d’imposta.
Il gruppo automobilistico, per compensare alla concessionaria questo azzeramento della redditività delle vendite di autovetture, riconosceva dei compensi variamente denominati e giustificati, per il tramite della propria “captive bank”; tali corrispettivi venivano fatturati dalla concessionaria alla finanziaria, in esenzione Iva, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, n. 9 del decreto Iva.

Nella sentenza si legge che l’Amministrazione finanziaria ha rilevato che solo una parte di tali compensi aveva costituito l’effettiva contropartita dell’opera di promozione dei finanziamenti, mentre gli altri avevano costituito lo strumento per riequilibrare la redditività delle vendite delle autovetture, le quali avvenivano anche sottocosto.
Oggetto di analisi e approfondimento è stato quello di verificare se le fatture di quest’ultimi compensi dovessero essere imponibili Iva, essendo riferite a pagamenti volti a incentivare l’acquisto dei veicoli del gruppo e non l’attività di stipula dei finanziamenti.

Dalla sentenza emerge che la concessionaria aveva emesso fattura senza indicazione dell’Iva e la sua omissione non era stata sanata dalla “captive bank”, la quale si era resa in tal modo responsabile della violazione prevista e punita dall’articolo 6, comma 8, del Dlgs n. 471/1997.

Dall’ulteriore attività istruttoria espletata nei confronti della finanziaria, sembrerebbe che quest’ultima riaddebitasse i suddetti compensi corrisposti alle concessionarie, alla propria casa automobilistica. La circostanza dimostrerebbe che tali corrispettivi sono riconosciuti a favore della società commerciale e non di quella finanziaria.
A conferma di ciò, e conseguentemente per l’imponibilità Iva dei suindicati compensi, bisognerebbe valutare se:

  • la mission della finanziaria è limitata all’erogazione dei finanziamenti, oppure se è estesa anche alla promozione dell’attività commerciale del gruppo automobilistico
  • le vendite del concessionario non sono redditizie e conseguentemente lo stesso deve recuperare i margini perduti con la vendita dei veicoli a prezzo inferiore a quello di acquisto
  • è generato un incremento apprezzabile del credito Iva
  • non vi è un collegamento diretto tra la conclusione dei contratti di finanziamento e il corrispettivo fatturato
  • vi sia anche un eventuale ribaltamento di una parte di questi compensi alla casa automobilistica, a riprova del fatto che gli stessi si riferiscono all’attività commerciale e non finanziaria.

Secondo i giudici di merito, gli elementi sopra sintetizzati sono sufficienti ad avvalorare la tesi dell’imponibilità Iva, mentre incomberebbe sulla contribuente l’onere di dimostrare la riconducibilità delle prestazioni tra quelle esenti, di cui all’articolo 10, comma 1 del Dpr n. 633/1972.

La Corte di giustizia tributaria sottolinea che è prassi ordinaria che il preponente corrisponda incentivi agli agenti sia in relazione alle vendite sia in rapporto al tipo, al costo e al numero totale degli affari conclusi.

Quindi, il collegio ritiene che tale prassi possa essere utilizzata anche dalla “captive bank”, tuttavia dovrebbe riguardare i compensi strettamente inerenti  agli specifici finanziamenti o al loro complesso, ma non a quelli versati a titolo di “price point”, che nell’accezione comune indica il prezzo cui può essere acquistato o venduto un determinato prodotto, e viene riconosciuto alla concessionaria in misura pari allo sconto applicato al cliente finale in quanto lo stesso si riferisce più all’acquisto del tipo di veicolo.

Conclusioni
La Cgt di primo grado di Roma, con la sentenza n. 12991 del il 21 novembre 2022, ha affermato che la concessionaria e la finanziaria del gruppo automobilistico hanno l’onere di dimostrare e documentare il possesso dei requisiti per l’esenzione Iva prevista dall’articolo 10, comma 9, richiamato, in caso contrario gli incentivi “price point” sono da considerare imponibili ai fini Iva.

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