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Giurisprudenza

Il pagamento del debito all’agente
non “perfeziona” il condono

La prova che la partita con il Fisco è ancora aperta è il rimborso al contribuente, visto che in caso di sanatoria, per le annualità interessate, sono azzerati rimborsi e ulteriori pretese tributarie

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Ai fini del perfezionamento della definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione non basta il semplice pagamento, ma occorre l’attestazione di estinzione del debito rilasciata dall’agente stesso, fermo restando, in caso di contestazione, l’onere del contribuente di fornire la prova circa la validità del pagamento.
Questo il principio desumibile dalla ordinanza della Corte di cassazione. n. 1222 del 17 gennaio 2022.

La vicenda processuale
L’amministrazione finanziaria e l’agente della riscossione impugnavano presso la Corte di cassazione la sentenza n. 564/5/2014 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, la quale, in accoglimento dell’appello del contribuente, aveva annullato gli atti impugnati sulla base della ritenuta intervenuta prescrizione.
Il contribuente con controricorso rilevava presso la Corte l’intervenuta definizione ai sensi della legge n. 147/2013, circostanza contrastata dallo stesso agente eccependo che le somme pagate erano state rimborsate in esecuzione della sentenza di secondo grado.

La pronuncia della Corte suprema
La Cassazione ha condiviso, al riguardo, la tesi dell’agente della riscossione evidenziando che “Nella memoria ... viene ribadito il fatto incontestato del pagamento … di importi in relazione alla procedura deflattiva di cui alla legge n. 147 del 2013; nondimeno il controricorrente trae da ciò erroneamente la conclusione dell’estinzione automatica dei debiti …. Infatti non è stato dimostrato il pagamento degli importi dovuti e… sono state prodotte tre ricevute di altrettanti versamenti i quali … sono privi non solo della correlata attestazione dell’Agente della Riscossione dell’avvenuto buon fine della definizione agevolata, ma anche dell’indicazione dei criteri di calcolo dei pagamenti. Non essendo noti quali fossero gli esatti importi necessari per il perfezionamento della procedura deflattiva, … la parte non mette la Corte nella condizione di verificare l’intervenuta definizione agevolata con il pagamento delle somme dovute come è onere del contribuente fare. D’altro canto l’agente della riscossione nella sua memoria … ha ribadito la sua prospettazione di non intervenuta estinzione del giudizio. Coerente con questa impostazione di non congruenza dei versamenti è il fatto che l’Agente della riscossione ha provveduto … al rimborso delle somme versate …”.

Osservazioni
L’articolo 1, commi 618-624, della legge n. 147/2013, prevedeva l’estinzione dei debiti contenuti nei carichi affidati all’agente della riscossione fino al 31 ottobre 2013 con il pagamento in unica soluzione, entro il 31 maggio 2014, di quanto originariamente iscritto a ruolo, ovvero dell’importo residuo, nonché dei compensi di riscossione dovuti, senza gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo e di mora ex articoli 20 e 30 del Dpr n. 602/1973.
Ciò posto, con la pronuncia in commento viene precisato che non basta un semplice pagamento al fine di essere liberato dal debito e dalla prosecuzione di un eventuale giudizio, ma occorre che l’estinzione del debito (e anche del giudizio) siano confermate dall’agente della riscossione e dall’ente creditore, fermo restando l’onere probatorio del contribuente in sede giudiziale. 
Inoltre, statuendo che “il mancato perfezionamento della definizione è dimostrato dall’avvenuto rimborso da parte dell’Agente della riscossione” fa discendere il logico corollario secondo cui, qualora sia invece perfezionata, il pagato non è rimborsabile neppure in esecuzione di una sentenza sfavorevole al Fisco, come da unanime giurisprudenza e da prassi dell’amministrazione finanziaria.

In particolare, le sezioni unite, con la sentenza n. 14828/2008, hanno stabilito che questa Corte ha avuto già modo di rilevare - e le Sezioni Unite intendono confermare questo orientamento, condividendolo - che il condono “pone il contribuente di fronte ad una libera scelta fra trattamenti distinti e che non si intersecano fra loro: o coltivare la controversia nei modi ordinali, conseguendo, ove del caso, i rimborsi di somme indebitamente pagate, oppure corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata ma senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto sulla linea del procedimento ordinario”. Tale principio è stato confermato dalla stessa amministrazione finanziaria con le circolari n. 2 e n. 8 del 2017 relativamente alla rottamazione di cui all’articolo 6 del Dl n. 193/2016, stabilendo che “qualora l’esito definitivo del giudizio sia favorevole al contribuente, non vi sarà alcuna riscossione né, al contempo, alcuna restituzione di quanto versato per il perfezionamento della definizione agevolata, i cui effetti sono intangibili”.
Altresì, riguardo alla sanatoria dei ruoli dell’articolo 12 della legge n. 289/2002, le circolari n. 12 e n. 22 del 2003 hanno precisato che “In nessun caso il contribuente potrà chiedere la restituzione degli importi previsti per effetto della disposizione in esame.
Ciò riguarda anche la legge n. 147/2013, atteso che proprio i giudici di legittimità hanno chiarito che “in termini generali, va ribadito che in tema di condono fiscale, indipendentemente dalla diversità delle regole giuridiche dettate da ciascuna legge in ordine alle modalità di accesso alle condizioni ed agli effetti dei benefici premiali, trova applicazione un principio comune, in virtù del quale, in riferimento agli anni d'imposta oggetto di definizione agevolata,... non è in nessun caso consentita, relativamente ai medesimi anni, la restituzione delle somme versate dai contribuente: l'intervenuta formazione di un nuovo titolo giuridico, a partire da un quadro normativo generale ed astratto, ma con l'adesione volontaria del contribuente ed il controllo del possesso dei requisiti da parte dell'Amministrazione, costituisce infatti un mezzo idoneo a definire le opposte pretese, azzerando le richieste di rimborso del contribuente così come le ulteriori pretese del Fisco, proprio in conseguenza del fatto che il primo in parte versa, ed in parte si obbliga a corrispondere, quelle somme di denaro che il secondo esige in base a parametri legislativi predeterminati, applicati in concreto agli accertamenti precedentemente eseguita dal Fisco e ritenuti convenienti dal contribuente in base ad un suo insindacabile apprezzamento” (Cassazione, pronunce n. 4566/2015 e n. 20741/2006).
Infatti, proprio riguardo alla legge n. 147/2013, lo stesso agente della riscossione, in occasione di Telefisco 2014, ha chiarito che la definizione esclude il rimborso anche se vi sia sentenza favorevole al contribuente.
Né occorre la rinuncia al giudizio, in quanto non prevista dalla norma in esame: la sentenza in epigrafe evidenzia infatti che a seguito della mancata estinzione del debito, l’agente ha prospettato la non estinzione del giudizio. Di contro è l’estinzione del debito che estingue il giudizio e non viceversa. La citata circolare n. 2/2017 ha chiarito che anche nell’ipotesi dell’impegno a rinunciare di cui all’articolo 6 del Dl n. 193/2016, la sua omissione non impedisce l’estinzione del giudizio, assumendo sostanziale rilevanza la chiusura del debito. Nell’ipotesi in cui il carico non esaurisca quanto in contestazione, la controversia – continua il documento di prassi – proseguirà per la parte non definita: ne deriva che il valore di lite sarà, infatti, circoscritto a tale parte come evidenziato dalla circolare n. 10/2019 che chiarisce, proprio riguardo alla legge n.147/2013, che la relativa procedura definisce la lite per la parte iscritta a ruolo.

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