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Giurisprudenza

Un parere legale è apprezzabile,
ma lontano da certezza e precisione

In caso di disconoscimento di una perdita su crediti, gli elementi indiziari da produrre devono essere tali da rendere credibile e attendibile il pericolo della inesigibilità

omini con nuvolette
In assenza di procedure concorsuali a carico del debitore, la società che vuole portare in deduzione le perdite su crediti ha l’onere di dimostrare l’esistenza di elementi certi e precisi, tali da provare che la perdita si sia effettivamente verificata.
La consulenza prestata da un legale, che consiglia all’ente di abbandonare il recupero del credito, non ha alcun valore probatorio ai fini della deducibilità delle perdite, perché si tratta di una manifestazione di opinione. I pareri legali, infatti, seppur forniti da professionisti del settore, devono comunque fondarsi su circostanze di fatto obiettive che, se non prodotte dal contribuente in sede amministrativa o giudiziale, determinano il mancato assolvimento dell’onere probatorio. Spetta, poi, al giudice di merito il potere-dovere di valutare tali circostanze in relazione ai caratteri di “certezza e precisione”, richiesti dalla norma tributaria.
Così ha deciso la Corte di cassazione, con la sentenza 27087 del 19 dicembre 2014.
 
Il fatto
La controversia scaturisce dall’impugnazione, proposta da una società, di alcuni avvisi d’accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate per il recupero di maggior Irpeg e Irap per gli anni 1996 e 1997.
La Commissione tributaria regionale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto l’appello dell’ufficio finanziario e ritenuto legittimo l’accertamento del maggior reddito d’impresa, per indebita deduzione di perdite su crediti, avendo la società omesso di fornire la prova certa circa l’irrecuperabilità dei crediti o della pendenza di procedure concorsuali e avendo utilizzato il fondo svalutazione crediti in misura superiore a quella consentita.
 
Avverso la sentenza della Ctr, la società è ricorsa per cassazione, adducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 66, comma 3, del Tuir (nel testo vigente ratione temporis).
Nel principale motivo di impugnazione, la società ha sostenuto che la nozione di “perdite su crediti” (contemplata all’articolo 66, ora 101) ha un contenuto economico, nel senso che deve risolversi in una valutazione prudenziale del rischio connesso al mancato introito del credito, legato agli elementi di certezza e precisione, “non occorrendo pertanto né la prova della situazione di insolvenza o dell’espletamento di procedure concorsuali nei confronti del debitore, né l’indicazione dei motivi di tali perdite”.
La società ha ritenuto errata in diritto la sentenza della Ctr nel punto in cui ha posto a carico della stessa l’onere di dimostrare l’insolvenza dei soggetti debitori, attraverso l’esame della situazione di bilancio (benché non tutti fossero enti societari soggetti all’obbligo di deposito del bilancio d’esercizio) e dell’inutile esperimento di procedure esecutive.
 
I giudici di Cassazione hanno ritenuto infondati i motivi di doglianza e, accogliendo la tesi dell’Amministrazione finanziaria, hanno deciso per il rigetto del ricorso.
 
La pronuncia
La disciplina delle perdite su crediti, contenuta, all’epoca dei fatti, nel comma 3 dell’articolo 66 del Tuir (oggi comma 5 dell’articolo 101), testualmente recitava che “le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso … se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali”.
Ne consegue che, se da un lato, le perdite su crediti erano automaticamente deducibili in caso di procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo e amministrazione straordinaria), dall’altro, nell’ipotesi di debitori non soggetti a tali procedure, la deducibilità fiscale della posta di bilancio era consentita solo se risultava da elementi “certi e precisi”.
 
A parere della società, quando non ci sono procedure concorsuali a carico del debitore, la nozione fiscale delle perdite su crediti si risolve in una valutazione prudenziale del rischio connesso al mancato conseguimento del credito alla scadenza convenuta, non costituendo elementi necessari ai fini della legittima deducibilità fiscale né la prova della situazione di insolvenza (da attuarsi, ad esempio, attraverso l’esame dei dati di bilancio del debitore) o dell’esperimento di procedure concorsuali a carico della controparte né, tantomeno, l’indicazione dei motivi di tale perdita.
 
Di diverso avviso i giudici di legittimità che, nel solco della propria costante giurisprudenza, hanno rimarcato il principio per cui è il contribuente, in caso di disconoscimento di una perdita su crediti da parte dell’ufficio finanziario, ad avere l’onere di fornire gli elementi certi e precisi richiesti dalla norma tributaria “per dimostrare che la perdita si sia verificata effettivamente” (cfr Cassazione sentenza 16823/2014).
Inoltre, gli elementi indiziari prodotti dal contribuente devono essere obiettivamente apprezzabili e tali da rendere credibile e attendibile il rischio dell’inesigibilità del credito.
 
Nel caso concreto, la prova offerta dal contribuente, per contestare la pretesa tributaria, consisteva nella produzione di una serie di pareri legali che sconsigliavano alla società di procedere al recupero del credito “in esito a visure camerali, o alla insussistenza di beni aggredibili o ancora a ricerche nel registro delle imprese”.
 
L’Agenzia delle Entrate, sostenuta dal giudice d’appello, aveva ritenuto insussistenti tali prove.
Dello stesso avviso la Corte di cassazione, secondo cui la “consulenza legale” non ha valore probatorio perché consiste in una mera manifestazione di opinione “che, seppur espressa da professionisti legali, non può che essere, a sua volta, fondata su circostanze di fatto obiettive …, le quali soltanto possono e debbono essere apprezzate dal Giudice di merito in relazione ai caratteri di “certezza e precisione” richiesti dalla norma tributaria, e che se non allegate specificamente dal contribuente determinano il mancato assolvimento dell’onere probatorio”.
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