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Giurisprudenza

Patteggiamento della pena elemento di prova per il giudice tributario

E' legittimo l'accertamento che recupera a tassazione i proventi, omessi, derivanti da attività illecite

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La sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti (cosiddetto patteggiamento), quando il reato concerne la tassazione di proventi da attività illecite(1), costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice tributario nel processo relativo alla legittimità dell'avviso di accertamento emesso per la ripresa a tassazione del cespite omesso. Nel caso in cui il giudice di merito intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità e il giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione. Tale assunto è stato sostenuto dalla Cassazione tributaria, sezione V, con la sentenza n. 19251 del 30/09/2005.

In precedenza, la stessa sezione tributaria, con sentenza n. 19505 del 19/12/2003, aveva statuito lo stesso principio e precisamente che: "La sentenza penale di applicazione della pena(2) ex art. 444 cod. proc. pen. (cosiddetto patteggiamento) costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall'efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell'accertamento".

Sotto il profilo sistematico, occorre osservare che la suprema Corte di cassazione aveva precisato in tema di confessione o di sentenza penale di proscioglimento che:

  • la circostanza che la confessione resa in sede penale non può essere da sola posta a base di un'affermazione di penale responsabilità (Cass. 1028/2001; Cass. 9760/1998) non significa che detto elemento di prova non può (ed anzi debba) essere oggetto d'autonoma valutazione ed apprezzamento da parte del Giudice tributario, nell'esercizio di quel potere-dovere riconosciutogli dall'art. 116 cpc (norma applicabile al relativo giudizio in virtù del rinvio al codice di rito operato dall'art. 1 comma secondo D.lg. 546/1992)
  • il principio della libertà di valutazione delle prove raccolte dai giudici comporta che le dichiarazioni di natura confessoria provenienti dal contribuente possono assumere la qualifica di prova e non di semplice indizio (Cass. 9320/2003). L'individuazione degli elementi di prova ritenuti rilevanti e atti a sorreggere il convincimento costituisce (ex plurismis, Cass. SS.UU. 898/1999; Cass. 14472/2000; Cass. 10484/2001) prerogativa esclusiva del Giudice, che ha solo il dovere di spiegare il procedimento d'ordine logico e giuridico che lo ha condotto a tale convincimento; e che, in mancanza di un esplicito divieto di legge, il Giudice di merito ben può utilizzare anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o altre parte, al fine di trarne non solo semplici indizi ma anche valore di prova esclusiva (Cass. 8787/1999)
  • in tema di contenzioso tributario, l'utilizzazione da parte del giudice tributario, a fini probatori, della confessione resa in sede penale dal rappresentante legale della società ricorrente, non viola il divieto di prova testimoniale nel processo tributario, atteso che il rapporto di immedesimazione organica, che lega il rappresentante legale con la società rappresentata, esclude che il primo possa essere qualificato come testimone, con riferimento ad attività poste in essere dalla società (Cass. 7964/1999)
  • il giudice tributario non può negare in linea di principio che l'accertamento contenuto in una sentenza di proscioglimento pronunciata ai sensi dell'articolo 425 c.p.p. può costituire fonte di prova presuntiva, omettendo di compiere una sua autonoma valutazione(3) degli elementi acquisiti in sede penale (Cass. 17037/2002).

NOTE
1. Per la sentenza n. 19078 del 29/09/2005 della Corte di cassazione, sezione V: "Ai sensi dell'art. 14, comma 4, della L. 24 dicembre 1993, n. 537 (il quale ha natura di interpretazione autentica della normativa contenuta del D.P.R. n. 917/1986), affinché operi la causa di esclusione dell'imponibilità costituita dalla circostanza che i detti proventi siano "già sottoposti a sequestro o confisca penale", occorre che il provvedimento ablatorio sia intervenuto entro lo stesso periodo d'imposta nel quale il provento sia maturato, essendo tale lettura della norma indotta dal principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione onde evitare ingiustificate disparità di trattamento tra i percettori di proventi illeciti ed i possessori di redditi leciti, per i quali - secondo i principi generali del sistema tributario - i redditi medesimi sono esclusi da imposizione solo se perduti nello stesso periodo d'imposta nel quale risultano prodotti".

2. Il comportamento processuale ed extraprocessuale delle parti può costituire argomento di prova e può perciò essere utilizzato come elemento di valutazione di risultanze probatorie già acquisite. Nella specie, la suprema Corte ha ritenuto utilizzabile come argomento di prova il comportamento extraprocessuale consistente nell'aver chiesto il cosiddetto "patteggiamento" ai sensi dell'articolo 444 c.p.p. nel processo penale svoltosi per imputazioni corrispondenti agli addebiti mossi nel giudizio di responsabilità in sede civile (Cassazione, sezione I, sentenza n. 5784 del 1/06/1998).

3. Con la sentenza n. 10269 del 16 maggio 2005 il giudice di legittimità ha preso posizione sulla vexata quaestio dell'efficacia del giudicato penale nel processo tributario. In particolare, per la citata sentenza, il giudicato penale non esplica alcuna efficacia nel giudizio tributario, sicché l'esistenza di un provvedimento penale favorevole al contribuente non impedisce al giudice tributario una valutazione dei fatti conforme alle tesi dell'Amministrazione. Anzi, il giudice tributario deve procedere a un'autonoma valutazione, secondo la regole proprie della distribuzione dell'onere della prova nel giudizio tributario, degli elementi probatori acquisiti nel processo penale, anche qualora ritenga di fondare il proprio convincimento su tali elementi (Cassazione n. 17037/2002; n. 9109/2002). Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente.
Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (articolo 116 del codice di procedura civile), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cassazione n. 9109/2002).


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