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Giurisprudenza

Penale ok. Ma l'esame non è finito

Ancora una volta giudici chiamati a esprimersi sugli effetti di un'assoluzione o di una condanna sul giudizio tributario

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L'assoluzione del fornitore dall'accusa di emissione di ricevute false non assurge a prova sufficiente per liberare il contribuente, a cui spetta, comunque, l'onere di provare la legittimità e la correttezza della detrazione ai fini Iva.
Tale assunto è stato statuito dalla Cassazione, in tema di fatture Iva per operazioni inesistenti, con la sentenza n. 14953 del 28 giugno 2006.

L'iter logico giuridico adottato dalla suprema Corte può essere così puntualizzato:

  • l'efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poiché in questo, da un lato vigono limitazioni della prova e, dall'altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna
  • in tema di Iva, ove l'Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture perché relative a operazioni inesistenti, spetta al contribuente(1) l'onere di provare la legittimità e la correttezza della detrazione mediante l'esibizione dei relativi documenti contabili. Pertanto, quando costui non è in grado di provare la fonte che legittima la detrazione, questa si deve ritenere indebita e, legittimamente, l'ufficio procede a recuperare a tassazione l'imposta irritualmente detratta.

Riflessioni
Il giudicato penale non esplica alcuna efficacia nel giudizio tributario, sicché l'esistenza di un provvedimento penale favorevole al contribuente non impedisce al giudice tributario una valutazione dei fatti conforme alle tesi dell'Amministrazione. Anzi, il giudice tributario deve procedere a una autonoma valutazione, secondo la regole proprie della distribuzione dell'onere della prova nel giudizio tributario, degli elementi probatori acquisiti nel processo penale, anche qualora ritenga di fondare il proprio convincimento su tali elementi.

Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale, irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (articoli 116 del Codice di procedura civile), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso è destinato a operare (Cassazione, sentenza n. 9109/2002).

Il giudicato penale - di condanna o di assoluzione - non acquista efficacia imperativa nel giudizio tributario perché (Cassazione, sezione tributaria, 16 maggio 2005, n. 10269):

  • nel processo tributario vi sono limitazioni all'utilizzo della prova ignote al processo penale
  • nel processo tributario sono ammesse presunzioni semplici (gravi, precise e concordanti), ma così non è per il processo penale, dove la prova cosiddetta indiretta è valutata con maggior rigore e, da sola, non sarebbe sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza
  • mentre il giudizio penale è volto all'accertamento della colpevolezza riguardo a un determinato fatto, il giudizio tributario ha una valenza di carattere oggettivo, poiché mira all'accertamento dei presupposti di esistenza di un tributo, se è sorta controversia al riguardo.

Giova osservare che, con la sentenza n. 18710 del 23/9/2005, la Corte di cassazione aveva statuito che, nelle ipotesi in cui l'ufficio ritenga che le fatture contabilizzate da un'impresa siano relative a operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare il contrario ovvero l'effettività delle operazioni fatturate, bensì all'Amministrazione finanziaria dimostrare che le stesse non siano mai state poste in essere.

La suprema Corte aveva sancito che "In buona sostanza, se il costo che un'azienda vuole portare in diminuzione dal reddito è documentato da fattura datata, numerata e provvista degli elementi prescritti dal citato articolo 21 del Dpr 633/1972, l'ufficio può valutare la sussistenza degli elementi previsti dalla normativa fiscale ai fini della deducibilità del costo (e dell'eventuale detraibilità dell'imposta), quali la competenza, l'inerenza, la congruità, ma per mettere in discussione l'effettività dell'operazione commerciale alla quale la fattura si riferisce, deve poter fornire la prova che la prestazione di servizi e/o la cessione di beni non siano mai state poste in essere. Invece, nel caso in cui la spesa non risulti regolarmente documentata da fattura, non può che essere il contribuente stesso a dimostrare che, a fronte dei maggiori ricavi accertati dall'ufficio, sono stati sostenuti costi imputabili al medesimo periodo d'imposta e inerenti all'attività esercitata".

NOTE
1. Nel caso in cui il contribuente, in sede di verifica fiscale, sostenga che le fatture non sono disponibili per il controllo in quanto sono state rubate, ha l'onere di provare il furto. La spettanza della detrazione Iva, infatti, deve essere dimostrata dal contribuente, non potendosi invertire, a carico dell'Amministrazione finanziaria, il compito di provarne l'effettiva sussistenza (Corte di cassazione, sentenza n. 13605 del 16/9/2003).

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