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Giurisprudenza

Perdita su crediti: servono le prove

Anche in caso di cessione pro soluto, il contribuente è tenuto a documentarne la definitività

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Con la sentenza n. 5337 del 10 marzo 2006, la Corte di cassazione ha sancito che, pur essendovi idoneità in astratto di una cessione pro soluto a costituire valida ragione per la deducibilità di una perdita, il contribuente deve comunque fornire le prove della sussistenza degli elementi "certi e precisi" che hanno dato luogo alla stessa.
Prima di soffermarci sui punti salienti della sopracitata sentenza, esaminiamo la vigente normativa in materia di deducibilità delle perdite su crediti e i principali chiarimenti forniti dall'Amministrazione finanziaria.

La disciplina fiscale delle perdite su crediti
Secondo il disposto del quinto comma dell'articolo 101 del Tuir (già articolo 66, terzo comma) "le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso (...) se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali".
Pertanto, la norma da un lato sancisce l'obbligo per il creditore di comprovare, ai fini della deducibilità della perdita, che la stessa abbia il requisito della certezza e dell'oggettiva determinabilità, dall'altro riconosce una presunzione assoluta di "certezza" della perdita nell'assoggettamento del debitore a procedure concorsuali.

In assenza di una delle procedure fallimentari contemplate nello stesso articolo(1), occorre dare prova dell'effettività della perdita che potrà essere considerata tale solo allorquando il creditore abbia esperito, senza risultato, tutti i mezzi legali a sua disposizione al fine di ottenere il soddisfacimento della propria pretesa.
La certezza attiene dunque all'aspetto della prova, conseguentemente il creditore dovrà fornire la dimostrazione di aver utilizzato tutti i rimedi possibili(2).

Non essendo ammessi criteri meramente valutativi e presuntivi, l'anno di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquisisce la totale certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perché solo in quel momento si rende palese la sua definitiva irrecuperabilità (si veda la Cassazione n. 16330 del 28/4/2005).
Per i crediti di modesto valore, la risoluzione ministeriale 6/8/1976, n. 9/124, ha stabilito inoltre che per la deduzione delle relative perdite "possa prescindersi dalla ricerca di rigorose prove formali, nella considerazione che la lieve entità dei crediti può consigliare le aziende a non intraprendere azioni di recupero che comporterebbero il sostenimento di ulteriori oneri".

Infine, in merito alle perdite su crediti esteri, l'Agenzia delle entrate, con circolare n. 39/E del 10/5/2002, precisando che la norma non prevede differenziazione nella deduzione delle perdite su crediti vantati nei confronti di debitori esteri rispetto alle perdite su crediti verso debitori residenti in Italia, ha stabilito che occorre "dimostrare la definitività della perdita del credito, conformemente agli strumenti giuridici previsti nello Stato del debitore, ove non si possa ricorrere alle dichiarazioni di insolvenza dei debitori stranieri emesse dalla SACE (Istituto per i servizi assicurativi del Commercio estero)".

La sentenza della Cassazione
Con la sentenza in commento, la Suprema corte si pronuncia, tra l'altro, su una questione inerente la fattispecie delle perdita conseguente alla cessione di un credito.
Il contribuente aveva impugnato la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, nella quale veniva confermata l'indeducibilità di una perdita su crediti, conseguente alla cessione di un credito, con la motivazione che nell'atto di cessione non erano ravvisabili elementi certi che consentissero di escludere che il cedente si fosse liberato da qualsiasi rischio di insolvenza del debitore.
In poche parole, secondo i giudici di merito, la perdita non aveva i requisiti della certezza e della oggettiva determinabilità in quanto afferente a crediti pro solvendo e non pro soluto.

La Cassazione osserva che, anche qualora si fosse trattato di cessione di crediti pro soluto secondo gli schemi previsti dalla normativa civilistica, il contribuente non sarebbe stato comunque sollevato dall'obbligo di documentare gli elementi "certi e precisi" che avevano dato luogo alla perdita.
Infatti, al di fuori delle procedure concorsuali per le quali il contribuente è liberato dall'onere di documentare la certezza della perdita, la norma non prevede altri "automatismi" che costituiscano, da soli, valida ragione per la deducibilità ai fini fiscali, né attribuisce alcun rilievo alle modalità e agli strumenti utilizzati per far emergere tali perdite in bilancio.
Pertanto, la cessione pro soluto del credito "una volta che l'Amministrazione finanziaria abbia comunque negato la deducibilità fiscale, non esonera il contribuente dal documentare mediante elementi certi e precisi che la perdita risultante dalla cessione era da intendersi oggettivamente definitiva né esime - di conseguenza - il giudice del merito dall'esercitare il suo potere di libero apprezzamento sulla sufficienza di quelle risultanze probatorie".

La Corte di cassazione ribadisce un orientamento già espresso con la sentenza n. 7555 del 23/5/2002, nella quale si evidenziava che, anche in presenza di cessione pro soluto del credito, il contribuente era tenuto a dimostrare che la perdita risultante dalla cessione si era già verificata al momento della stessa, nonché con le precedenti sentenze n. 15563 dell'11/12/2000 e n. 13181 del 4/10/2000.

La sentenza in commento, inoltre, respingeva un altro motivo del ricorso con il quale il contribuente aveva eccepito l'errata applicazione dell'articolo 66 del Tuir, in quanto - a suo parere - il contratto in esame non costituiva atto di cessione di crediti, bensì di un intero ramo d'azienda, dato che aveva come oggetto la cessione dell'insieme di attività e passività di una società (e, pertanto, le perdite erano da inserire nella minusvalenza complessiva dell'operazione). La Suprema corte stabiliva che, trattandosi di un tema d'indagine mai introdotto con i precedenti scritti difensivi, era da considerare inammissibile in sede di legittimità.


NOTE:
1) L'articolo 11 del Dpr 4/2/1988, n. 42, che il decreto legislativo 247/2005 ha trasfuso integralmente nella seconda parte del citato comma 5 dell'articolo 101 del Testo unico, sanciva che "ai fini della deducibilità delle perdite su crediti, a norma dell'art. 66 comma 3, del testo unico, il debitore si considera assoggettato a procedure concorsuali dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi".
Resta pertanto esclusa dalle procedure concorsuali che danno diritto "in ogni caso" alla deducibilità della perdita l'amministrazione controllata (cfr. circolare Agenzia delle entrate n. 39/E del 2002).

2) Il requisito della certezza della perdita e quello della sua oggettiva determinabilità in rispetto al principio della competenza economica "devono trovare oggettivo riscontro negli atti intervenuti tra le parti e nella procedura attivata per il recupero dei crediti" (Leo-Monacchi-Schiavo, "Le imposte sui redditi nel Testo Unico", Giuffrè, Milano, 1999).

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