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Giurisprudenza

La pertinenza comprata dopo la casa
non fruisce dell'aliquota Iva ridotta

Poiché le norme agevolative costituiscono un’eccezione rispetto alle disposizioni ordinarie, spetta al contribuente che vuole far valere tali circostanze provarne l’esistenza

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La cessione di pertinenze (box-autorimesse, nella fattispecie), con atto separato, da parte della società costruttrice a soggetti già proprietari degli appartamenti, sconta l’Iva ordinaria, salvo che la società dimostri di aver costruito gli immobili – sin dall’inizio – con le autorimesse, oppure che i box rientravano in uno specifico programma con il Comune per la loro fabbricazione.
Ciò in quanto le norme che prevedono aliquote agevolate costituiscono eccezione al regime ordinario generale e, quindi, spetta al contribuente provare l’esistenza dei presupposti, per la loro applicazione, posti a fondamento della relativa richiesta.
Lo ha precisato la Cassazione, con l’ordinanza n. 1735 del 28 gennaio 2014.
 
I fatti
Con avviso di accertamento per l’anno 2005, l’Agenzia delle Entrate ha contestato a una società l’applicazione dell’aliquota Iva del 10% adottata per la cessione separata dei box-autorimesse rispetto alle unità principali non di lusso e diverse dalla prima casa.
 
In entrambi i gradi di giudizio, le Commissioni tributarie hanno ritenuto che l’aliquota di imposta doveva essere applicata nella misura del 10% e non in quella ordinaria (allora, del 20%), trattandosi di diverse autorimesse vendute a soggetti già proprietari di unità immobiliari acquistate in precedenza e delle quali avevano di volta in volta dichiarato che le stesse costituivano loro pertinenze.
 
L’Agenzia ha impugnato la sentenza della Commissione tributaria regionale deducendo violazione di legge, in quanto la Ctr non considerava che l’aliquota ridotta del 10% non poteva essere applicata in caso di acquisto separato dei box rispetto alle unità principali, solo perché dichiarate “pertinenza” dalla società venditrice al notaio rogante, trattandosi non di pertinenze di “prima casa”, e inoltre perché si trattava di atti di cessione non contestuali.
In particolare, l’ufficio osservava che era onere della cedente dimostrare:
  • che la precedente cessione del fabbricato fosse avvenuta tra le stesse parti e con il medesimo atto, e in particolare col costruttore di tutto l’edificio, di cui i garage costituivano una porzione rispetto agli appartamenti, secondo le previsioni dell’articolo 13, legge 408/1949 (“legge Tupini”)
  • ovvero che le autorimesse rientravano in un programma di fabbricazione per aree urbane maggiormente popolate, secondo le previsioni dell’articolo 11, legge 122/1989 (“legge Tognoli”).
La Corte ha accolto il ricorso e ha precisato che “i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dalla legge 24 marzo 1989, n. 122, articolo 2, non sono soggetti a vincolo pertinenziale a favore delle unità immobiliari del fabbricato” e che l’aliquota Iva agevolata (punto 21, parte II, tabella A, Dpr 633/1972, nel testo anteriore alla modifica apportata con l’articolo 16, n. 4, Dl 155/93) “…riguardante i fabbricati e porzioni di fabbricati di cui alla legge 2 luglio 1949, n. 408, articolo 13, ceduti da imprese costruttrici, ancorché non ultimati, purché permanga l’originaria destinazione... non si applica a un’impresa edile che si sia limitata a rivendere un immobile da essa non costruito, atteso che detta agevolazione tributaria ha la finalità di favorire lo svolgimento dell’attività edilizia, anche se esercitata in tutto o in parte con la collaborazione di terzi, ma non può estendersi alla attività commerciale meramente speculativa di compravendita di immobili”.
 
Osservazioni
I giudici di legittimità hanno disconosciuto l’applicazione dell’aliquota Iva ridotta. Sul piano astratto e giuridico-formale, hanno precisato che, nella fattispecie esaminata, non si sono verificati i presupposti normativi per applicare l’agevolazione. Nelle ipotesi in cui cantine, box, soffitte, e cioè unità edilizie classificabili nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, acquistati con atto separato rispetto all’abitazione, siano pertinenze di unità immobiliari diverse dalla “prima casa”, le relative cessioni sono soggette all’aliquota Iva loro propria, e cioè a quella stabilita nella misura del 10% se l’immobile rappresenta una porzione di fabbricato a prevalente destinazione abitativa ceduta direttamente dall’impresa costruttrice, secondo le disposizioni della legge 408/1949 (n. 127-undecies, tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/1972) ovvero si tratti di parcheggi realizzati ai sensi della legge 122/1989; nella misura del 20% (oggi, 22%) negli altri casi (circolare 19/2001).

Nella fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, l’immobile non risultava essere una porzione del fabbricato a prevalente destinazione abitativa ceduta direttamente dall’impresa costruttrice (cfr Cassazione 16664/2011 e 3954/1998), né emergeva la permanenza della destinazione abitativa originaria, ma si evidenziavano solo le finalità speculative della cessione.
Inoltre, i parcheggi non risultavano essere stati realizzati secondo le disposizioni della “legge Tognoli”.

A tale riguardo, i giudici di legittimità hanno affermato che la doglianza dell’Agenzia era fondata e hanno chiarito che, se i parcheggi sono realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dall’articolo 2, legge 122/1989, non sono soggetti a vincolo pertinenziale a favore delle unità immobiliari del fabbricato.Di conseguenza, l’originario proprietario-costruttore del fabbricato può riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà di tali parcheggi, nel rispetto del vincolo di destinazione nascente da atto d’obbligo col Comune.
Sul piano concreto e sostanziale, i giudici di piazza Cavour hanno rilevato che la società non ha fornito alcuna prova in giudizio dei presupposti per giustificare l’applicazione dell’aliquota agevolata. Prova necessaria per il contribuente che chiede l’applicazione di un beneficio fiscale.

In materia di Iva, infatti, proprio perché le norme che prevedono aliquote agevolate costituiscono un’eccezione rispetto alle disposizioni che stabiliscono quelle ordinarie, spetta al contribuente che vuole far valere tali circostanze provarne l’esistenza.
Pur non escludendo la debenza dell’imposta, si tratta di fatti costituenti il fondamento della richiesta e rilevanti perché riducono sul piano quantitativo la pretesa del Fisco (cfr Cassazione 7124/2003 e 14904/2001).
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