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Giurisprudenza

Più salata l’imposta di successione se l’erede non risiede in Germania

La Corte di Giustizia ha ritenuto la normativa fiscale tedesca lesiva della libertà di circolazione dei capitali

Con la sentenza che definisce il procedimento C-256/06, i giudici comunitari si sono soffermati sulla compatibilità del principio, garantita dall’articolo 56 del Trattato, con le disposizioni dell’ordinamento giuridico tedesco in materia ereditaria. La controversia riguarda un contribuente residente in Francia, unico erede del patrimonio della madre che, al momento del decesso, risultava essere residente in Germania. Il patrimonio ereditato dal signor Jager comprende proprietà immobiliari in Francia, adibite a uso agricolo e forestale.

La normativa tedesca
Per l’ordinamento tributario tedesco, l’eredità soggiace all’imposta di successione tedesca se il de cuius era residente in Germania al momento del decesso. Per quanto concerne i patrimoni agricoli e forestali caduti in successione, la legislazione tedesco prevede per questi ultimi un criterio di calcolo particolarmente favorevole atteso che, per agevolare la prosecuzione dell’attività, il valore dei predetti patrimoni è determinato in misura pari al 10 per cento dell’effettivo controvalore commerciale. Inoltre, non solo in caso di acquisto mortis causa di terreni agricoli-forestali viene applicata una franchigia di 250 mila euro ma la legge consente che il valore risultante dalla applicazione di detta franchigia sia ridotto di un ulteriore 40 per cento. Le descritte agevolazioni incontrano, però, una forte limitazione atteso che non trovano applicazione ai terreni agricoli e forestali situati all’estero. Il signor Jager ha impugnato l’accertamento notificato dall’amministrazione fiscale tedesca rilevando che l’eredità nazionale fosse stata assoggettata ad un più elevato onere fiscale.

La posizione dei giudici europei
La Corte di Giustizia, investita della questione, ha riconosciuto la fondatezza delle denunziate violazioni da parte dell’ordinamento tributario tedesco dei principi vigenti in materia di libera circolazione dei capitali. In primo luogo, i giudici comunitari hanno osservato che tra le misure vietate dall’articolo 56 sono ricomprese anche quelle, come nel caso di specie, che hanno l’effetto di diminuire il valore dell’eredità di un residente di uno Stato diverso dallo Stato membro in cui sono ubicati i beni di cui trattasi e che tassano il trasferimento ereditario dei detti beni. Dalla lettura della legge tedesca in materia di imposta sulle successioni appare evidente, prosegue la Corte, che viene operata una precisa distinzione riguardo all’ubicazione della proprietà ereditata. La conseguenza di tale differenza, che consiste principalmente in metodi distinti di valutazione della proprietà in questione, si traduce nell’arbitraria imposizione al ricorrente di un’imposta di successione più onerosa soltanto perché una parte della proprietà ereditata è situata in un altro Stato membro.

Le conclusioni
I giudici concordano nel ritenere che la normativa fiscale tedesca produce l’effetto di rendere gli investimenti in proprietà situate in un altro Stato membro, da parte di soggetti residenti in Germania, meno allettanti degli investimenti dello stesso tipo nel territorio nazionale. A parere della Corte, inoltre, le restrizioni in esame non si giustificano neanche alla luce dell’articolo 58 del Trattato che pure consente agli Stati membri di applicare la normativa tributaria interna nei casi in cui si opera una distinzione tra i contribuenti riguardo al loro luogo di residenza o al luogo di collocamento del loro capitale. Difatti, tale facoltà è temperata dal successivo comma 3 che precisa che le predette distinzioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali. Né sembrano sussistere, nel caso in esame, motivi imperativi di interesse pubblico tali da giustificare la violazione del predetto principio. Il governo tedesco, difatti, si è limitato a sottolineare che la normativa oggetto di contestazione mira a salvaguardare la prosecuzione dell’attività agricola da parte dell’erede, alleggerendo la imposta di successione, di modo che sia mantenuto il precedente livello di produttività ed occupazione. La Corte ha, però, ritenuto che un tale obiettivo, di natura puramente economica, non costituisce un motivo imperativo di interesse pubblico tale da giustificare una restrizione ad una delle libertà fondamentali garantite dal Trattato.
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