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Giurisprudenza

Più sono i proprietari e gli inquilini
da gestire, più crescono i compensi

L’incremento delle persone da amministrare e per le quali tenere una contabilità secondo il codice civile, aumenta non solo lo stress, ma anche il reddito imponibile

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La Corte di cassazione ha stabilito, con ordinanza 5 marzo 2013, n. 5473, in tema di accertamento induttivo, che il reddito imponibile dell'amministratore di condominio può essere calcolato dal Fisco sulla base del numero dei condomìni.
 
Il fatto
Con avviso di accertamento e conseguente cartella di pagamento in materia di Irpef, Irap e Iva, l’ente impositore rettificava il reddito di un amministratore di condominio, basato anche sul numero dei condomìni amministrati, oltre che sulle quote di ammortamento non risultanti in contabilità e altri costi non inerenti.
Per la precisione, l’accertamento - oggetto del contendere - era stato adottato a seguito di risposta a un questionario e l’applicazione degli studi di settore era stata integrata da una rilevazione analitica dei condomìni di cui il contribuente risultava amministratore.
 
Soccombente nel primo grado del giudizio, per la Commissione tributaria regionale - che con la sentenza gravata ha confermato l’operato dell’ufficio - il ricorrente non ha comprovato né che il reddito dichiarato corrispondeva a quello effettivo né che gli studi di settore non erano applicabili nella fattispecie.
 
Nel conseguente ricorso per cassazione, il contribuente lamentava l'erroneità dell'applicazione degli studi di settore, che avevano tenuto conto analiticamente del numero dei condomìni assistiti dall'amministratore.
 
La decisione
Nel rigettare il ricorso, la Corte di cassazione ha rilevato che il contribuente non ha portato in giudizio idonea documentazione atta a dimostrare che il reddito accertato non fosse reale (ad esempio, attraverso i verbali delle assemblee contenenti i compensi a lui spettanti), ma non ha nemmeno indicato i diversi esiti a cui si sarebbe potuto giungere in base a tale documentazione.
 
In particolare, la Corte sostiene che, nel censurare la decisione del giudice di appello per avere questo omesso di esaminare la documentazione prodotta in giudizio (nella specie, i verbali dei condomìni amministrati, da cui si sarebbe dovuto desumere ciascun singolo compenso attributo al contribuente), “la parte ricorrente non solo non ha specificato dove e quando queste produzioni sarebbero state effettuate, ma non ha neppure descritto specificamente (e con dettaglio delle risultanze di detti verbali) quali sarebbero i diversi esiti a cui avrebbe dovuto giungere la verifica del giudicante se avesse tenuto conto del contenuto di tali asserite produzioni”. Insomma, per il Collegio giudicante, il contribuente si è limitato a delle mere affermazioni apodittiche che nulla hanno potuto rispetto alla presunzione del Fisco.
 
In ogni caso, per come emerso dagli atti di causa, l’ufficio non ha considerato le sole quote di ammortamento non risultanti in contabilità e i costi non inerenti, ma ha anche tenuto conto di ciascuno dei condomìni amministrati, sicché l’unico dato induttivamente ricostruito è risultato essere quello del “compenso medio” per ciascun incarico di amministrazione, il cui assunto poteva essere agevolmente contrastato dal contribuente dando analiticamente conto dei redditi effettivamente percepiti.
 
In ultimo, egualmente inammissibile è stato dichiarato l’altro motivo del ricorso presentato dall'amministratore di condominio e con il quale è stato censurato l'uso degli studi di settore. Ciò perché, afferma il giudice di legittimità, non sono state specificamente indicate le norme di legge la cui violazione costituisce il vizio su cui la censura si fonda.
 
A questo riguardo, è stato opportunamente affermato (cfr Cassazione 13818/2007) che la prova liberatoria che consente di superare la presunzione di cui all'articolo 51 del Dpr 633/1972, secondo la quale le movimentazioni dei conti correnti bancari legittimano l'accertamento Iva, non può essere meramente generica e cioè relativa all'attività esercitata, ma deve essere, altresì, specifica in relazione a ogni singola operazione. Perciò non è sufficiente che il contribuente adduca la qualità di amministratore di condominio, ma è necessario che fornisca la prova specifica (rectius: analitica) della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di danaro altrui, diversamente la rispettata movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato.
 
D’altronde, la Cassazione ha anche sostenuto (cfr sentenza 14860/2012) che i versamenti sul conto corrente bancario dell’amministratore di condominio sono reddito imponibile anche nel caso in cui li imputi a situazioni condominiali, occorrendo prove più dettagliate circa la provenienza del denaro. Infatti, secondo la Corte, per superare la presunzione ex articolo 32, comma 1, n. 2), Dpr 600/1973 (accertamento legittimato da movimentazioni dei conti correnti bancari), non è sufficiente riferirsi genericamente all'attività lavorativa svolta; il contribuente dovrà fornire la prova della riferibilità di ogni movimentazione all'attività di amministratore di condominio. Le movimentazioni non giustificate si considerano come corrispettivo non dichiarato.
 
In definitiva, nel caso di specie, in mancanza di validi elementi di prova, al giudice di legittimità non è rimasto che approvare l'operato del Fisco.
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