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Giurisprudenza

Per la plusvalenza ai fini Irpef
rileva il valore finale del bene

La differenza tra quanto calcolato per il Registro e il corrispettivo dichiarato nell’atto costitusce una maggiore componente positiva di reddito realizzata dai venditori

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La Corte di cassazione, con sentenza 6 agosto 2014, n. 17653, ha stabilito che, in tema di imposizione da applicare nella cessione di immobile sulla plusvalenza realizzata, si può prendere in considerazione il valore finale. In questo modo non viene leso il diritto del contribuente, che è libero di contestare la somma rilevata.
 
Vicenda processuale
La vicenda processuale riguarda due contribuenti che avevano ceduto a titolo oneroso le rispettive quote di un terreno edificabile.
Ai fini dell’imposta di registro, l’ufficio rettificava, in aumento, il valore del terreno indicato dalle parti nell’atto di cessione. In seguito alla notifica dell’atto impositivo, la parte acquirente definiva la controversia mediante accertamento con adesione (Dlgs 218/1997), convenendo con l’ente impositore che il valore venale in comune commercio del terreno acquistato si attestava su di un importo intermedio tra quanto determinato in via di rettifica e quanto indicato dalle parti nell’atto di cessione.
 
Sulla base di tale definizione, l’Amministrazione ha ritenuto che il differenziale esistente tra il valore determinato per l’imposta di registro e il corrispettivo dichiarato nella compravendita costituisca fatto noto (id quod plerumque accidit) dal quale far discendere con gravità, precisione e concordanza l’omessa dichiarazione, ai fini Irpef, di una maggiore componente positiva di reddito realizzata dai venditori.
Veniva quindi emesso nei confronti dei cedenti un ulteriore avviso di accertamento induttivo per il recupero a tassazione, ai sensi del previgente articolo 81, comma 2, del Tuir, la presunta plusvalenza sottratta a imposizione Irpef, di importo corrispondente alla differenza tra il valore dichiarato in atto e quello, maggiore, quantificato quale valore “normale” di realizzo del terreno.
 
Le Commissioni tributarie di merito respingevano il ricorso, dando conto dell’efficacia anche verso le venditrici dell’accertamento con adesione concluso dalla società acquirente con l’ufficio ai fini della definizione dell’imposta di registro sulla compravendita, riconoscendo così la legittimità della tassazione ordinaria della plusvalenza realizzata, per la quota di corrispettivo percepito, assumendo come tale il detto prezzo concordato e in detrazione, come costo, il valore del terreno dichiarato in successione ereditaria e non quello normale del terreno lottizzato.
 
Con conseguente ricorso per cassazione, i contribuenti deducono carenza di motivazione e violazione di legge (articolo 82, comma 1, del Tuir, vigente ratione temporis), argomentando sostanzialmente che:
  • era stata la parte acquirente a definire con l’ufficio il valore del terreno ai fini del tributo di registro, mentre nulla ha definito la parte venditrice
  • la definizione del valore eseguita dall’acquirente non può pregiudicare la cedente, non potendosi da ciò desumersi in automatico, mediante ragionamento inferenziale, un occultamento di parte del corrispettivo.
La decisione
La Suprema corte, pur accogliendo - con rinvio - il ricorso dei contribuenti relativamente ai rilievi di nullità della sentenza o del procedimento, stabilisce, tuttavia, che l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale, realizzata a seguito di cessione di un terreno edificabile, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, ed è onere probatorio del contribuente superare (anche con ricorso a elementi indiziari) la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, anche dimostrando di non aver interamente realizzato, in concreto, il valore di mercato dell'immobile venduto (cfr, ex multis, Cassazione 4057/2007, 19830/2008, 27019/2009, 7023/2010, 5070/2011, 23608/2011 e 14571/2013).
 
Non è stato quindi dato credito alla tesi dei contribuenti, in base alla quale il valore “concordato”, calcolato ai fini del registro, non può essere assunto tout court quale elemento di prova nell’ambito degli accertamenti dell’imposta sui redditi. La Corte, infatti, ha ribadito che la peculiarità della fattispecie consiste nel fatto che la definizione per adesione non ha riguardato la parte venditrice bensì un terzo, e identicamente la società acquirente del terreno, evento da cui consegue che, secondo consolidato indirizzo, in tema di giudicato “riflesso”, non può avvantaggiarsi del giudicato favorevole il coobbligato nei cui confronti si sia già formato un giudicato sfavorevole (cfr Cassazione 11175/2001, 28881/2008, 14814/2011 e 9156/2014).
 
D’altronde, afferma incisivamente la Cassazione, “si può ritenere che ciascun operatore si comporti secondo la comune prassi di mercato e non venda ad un prezzo inferiore a quello di comune commercio”.
 
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