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Giurisprudenza

Plusvalenza da stock options: è reddito da lavoro dipendente

A meno che la differenza tra azioni e somma corrisposta sia almeno pari al prezzo del titolo alla data dell'offerta

La plusvalenza derivante dall'esercizio di un diritto di opzione su azioni, concesso da una Spa a un proprio dirigente, costituisce una componente del reddito da lavoro dipendente e va tassata con aliquota progressiva e non con aliquota fissa del 12,5%.
Lo ha deciso la Corte di cassazione con la sentenza 11214/2011.

La vicenda
Un dirigente di una Spa riceve nel corso del 1997 delle stock options già in circolazione e nel 2000 realizza una plusvalenza dall'esercizio del diritto di opzione sulle azioni. Oggetto del giudizio è stata la modalità di tassazione di tale plusvalenza.
In particolare, il contribuente riteneva che dovesse essere tassata con l'aliquota fissa del 12,5% e che, quindi, gli spettasse il rimborso della differenza fra il valore delle ritenute calcolate col sistema della tassazione progressiva e la tassazione al 12,5% prevista per il capital-gain.
L'Amministrazione finanziaria (e anche la società), invece, l'ha considerata una componente del reddito da lavoro dipendente, tassandola con aliquota progressiva. Di conseguenza, l'ufficio ha ritenuto non spettante il rimborso.
Ciò perché non si è verificata la condizione di esclusione prevista dall'articolo 48 (ora articolo 51), comma 2, lettera g-bis, Dpr 917/1996: il prezzo delle azioni, al momento dell'offerta, non era pari al loro valore al momento dell'esercizio dell'opzione (era inferiore di 150 lire circa per azione rispetto al loro valore nominale di borsa).

In entrambi i gradi di merito, i giudici, tenuto conto anche di sentenze emesse da altre commissioni, hanno ritenuto spettante il rimborso chiesto dal dirigente sulla base della documentazione prodotta e allegata per dimostrare il numero delle azioni ricevute dalla società, la data, la ricostruzione del prezzo sulla base delle quotazioni borsistiche alla data dell'offerta e il calcolo del valore normale delle stock options.

Ma la Corte suprema ha ricostruito la vicenda alla luce dell'articolo 48 Tuir, vigente ratione temporis, e ha statuito che "per il comma 2, lett. g-bis (aggiunta dal D. Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505, art. 13, comma 1, lett. b), n. 2, del D.P.R. dicembre 1986, n. 917, art. 48 (ora 51) ('determinazione del reddito di lavoro dipendente') 'non concorrono a formare il reddito...la differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente, a condizione che il predetto ammontare sia almeno pari al valore delle azioni stesse alla data dell'offerta' (con la precisazione che 'se le partecipazioni, i titoli o i diritti posseduti dal dipendente rappresentano una percentuale di diritti di voto esercitagli nell'assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 10 per cento, la predetta differenza concorre in ogni caso interamente a formare il reddito')".

Inoltre, i giudici di legittimità hanno chiarito che tale disposizione è applicabile esclusivamente alle azioni emesse dall'impresa con la quale il contribuente intrattiene il rapporto di lavoro, nonché a quelle emesse da società che, direttamente o indirettamente, controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa (comma 2-bis dell'articolo 48, ora 51).

Osservazioni
La Cassazione individua, in generale, le fattispecie nelle quali le somme percepite a seguito dell'esercizio delle stock options concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente e, in particolare, per tali casi, precisa quale sia la disciplina applicabile ratione temporis.
Era contenuto nell'articolo 48, comma 2, lettera g-bis, e comma 2 bis, Tuir, "… il regime fiscale delle c.d. stock options (offerta di acquisto, ad una data scadenza, di un diritto di opzione su specifiche azioni), ovverosia del beneficio economico derivante al lavoratore dipendente dall'esercizio (mediante la sua accettazione), alla scadenza prevista, dell'offerta (di acquisto) di azioni, sempre che emesse dall'impresa con la quale il contribuente intrattiene il rapporto di lavoro o da società che direttamente o indirettamente, controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa" (Cassazione 11214/2011).
In particolare, tale regime prevede l'esenzione di una quota parte del reddito di lavoro dipendente in misura corrispondente alla differenza tra il valore delle particolari azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente (strike price) quando l'opzione viene esercitata (exercise date) non concorre a formare il suo reddito a condizione che la stessa differenza sia almeno pari al valore delle azioni stesse alla data dell'offerta (grant date), con la precisazione che se le partecipazioni, i titoli o i diritti posseduti dal dipendente rappresentano una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 10%, la predetta differenza concorre in ogni caso interamente a formare il reddito (articolo 48, comma 2, lettera g-bis).

Diversamente, se la condizione non si verifica (cioè se la differenza è maggiore rispetto al valore delle azioni alla data dell'offerta), allora si è in presenza di una componente del reddito da lavoro del dipendente.
E nel caso in esame, il beneficio non ha potuto produrre i suoi effetti poiché il prezzo delle azioni al momento dell'offerta era inferiore (di circa 150 lire per azione) rispetto al valore normale di borsa delle azioni stesse.
Né li avrebbe prodotti se, nonostante il valore coincidente tra l'ammontare corrisposto e il valore delle azioni al momento dell'offerta, non fosse stato il dipendente a versare il corrispettivo del valore delle azioni ma le azioni fossero state assegnate al dipendente a titolo gratuito e a spese della società come benefit (Cassazione 13131/2010).

Nessun dubbio per la Corte suprema sull'applicabilità al caso di specie, ratione temporis, del novellato articolo 48 Tuir. Nella sua originaria formulazione, la norma disponeva la non concorrenza al reddito da lavoro dipendente, ai fini Irpef, del valore delle azioni assegnate ai dipendenti: si trattava di un regime agevolato senza limiti e non subordinato neanche a un periodo di detenzione minimo delle azioni. Diversamente, dopo le modifiche introdotte con il decreto legislativo 505/1999.

L'articolo 13 del decreto, al comma 2, infatti, dispone che i nuovi precetti si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2000, ma non alle assegnazioni di titoli effettuate precedentemente a tale data, nonché a quelle derivanti dall'esercizio di opzioni attribuite dal 1° gennaio 1998 fino alla data di entrata in vigore del decreto.
Di conseguenza, nella fattispecie sottoposta all'esame della Corte, è pacifico sia che il diritto di opzione è stato attribuito in data anteriore al 1998, sia che l'opzione è stata esercitata quando la nuova disciplina era già entrata in vigore.

Seguendo l'interpretazione della Corte, per le 'assegnazioni di titoli' considerate dal legislatore, il momento temporale rilevante ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile va identificato in quello in cui la datrice di lavoro, onorando l'offerta di acquisto fatta in precedenza, assegna (trasferendone la titolarità) i titoli azionari offerti al suo dipendente. A tale riguardo, la Cassazione ha precisato che, per le assegnazioni di titoli intervenute come nel caso di specie dopo il 1° gennaio 2000, se la differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente risulta superiore al valore delle azioni stesse alla data dell'offerta, non assume più alcuna rilevanza che l'offerta dell'opzione si sia verificata in epoca anteriore.
La plusvalenza da stock options, quindi, va tassata quale componente del reddito da lavoro dipendente proprio perché la ratio della norma va rinvenuta nel fine di evitare che il piano di azionariato sia utilizzato per corrispondere al dipendente compensi non soggetti a tassazione mediante l'offerta di titoli a un prezzo inferiore al loro valore normale.

E a tale conclusione la Corte è pervenuta non solo a seguito della ricostruzione giuridico - formale delle norme applicabili, ma anche a seguito della valutazione materiale - sostanziale dei fatti: nei gradi di merito è emerso che il dirigente non ha dedotto né provato che le somme incassate a seguito della stock option da lui esercitata potevano essere escluse dalla formazione del reddito da lavoro dipendente, lasciando così spazio all'applicazione del principio di omnicomprensività di tale tipologia reddituale (i redditi da lavoro dipendente sono costituiti da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro).

Infine, deve osservarsi che diverse modifiche normative, successive al Dlgs 505/1999, sono state introdotte al trattamento fiscale delle stock options (articolo 36, comma 25, del Dl 223/2006; articolo 2, comma 29, del Dl 262/2006) fino all'abolizione del suddetto regime agevolato ad opera dell'articolo 82, comma 23, del Dl 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge 133/2008, che ha "cancellato" la lettera g-bis dell'articolo 48 (ora 51) Tuir.
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