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Giurisprudenza

Plusvalenze: sul recupero d’imposta
no a condizione per il differimento

La questione esaminata dagli eurogiudici verte sul ricorso presentato dalla Commissione Ue contro la Germania per il regime fiscale incompatibile con la normativa comunitaria

plusvalenze
Con lettera del 15 maggio 2009, la Commissione diffidava la Germania, sottolineando il carattere di incompatibilità del regime fiscale del differimento di imposta sulle plusvalenze con la libera circolazione di capitali. La risposta della Germania avveniva con lettera del 13 luglio 2009. Nella missiva si esprimeva il totale disaccordo facendo valere come la normativa controversa non rientrasse nella libera circolazione dei capitali, ma solo nella libertà di stabilimento con cui è compatibile.

I passi successivi della Commissione europea
Successivamente, la Commissione, il 7 maggio 2010, inviava una lettera di diffida complementare, con la quale si sottolineava come la predetta normativa fosse in contrasto con quanto previsto agli articoli 49 TFUE e 31 dell’accordo SEE. Dopo che la Germania ribadiva la sua posizione con lettera del 7 luglio 2010, il settembre 2011 la Commissione inviava alla repubblica tedesca un parere motivato con l’intento di fare conformare a tale parere entro il termine di due mesi dalla notifica dello stesso. Non ricevendo l’esito atteso al parere motivato, la Commissione europea decideva di presentare ricorso ai giudici europei.

La questione al centro della controversia tra Ue e Germania
La questione pregiudiziale verte sul ricorso presentato dalla Commissione europea in merito  al regime fiscale di tassazione delle plusvalenze realizzate con la cessione a titolo oneroso di alcuni beni d’investimento che prevede la tassazione differita, mediante il trasferimento delle stesse plusvalenze attraverso l’acquisto di beni sostituti, al momento della cessione degli ultimi beni acquistati a condizione che gli stessi beni restino impiegati nel territorio nazionale.
 
Il ricorso
Nel ricorso presentato, la Commissione europea chiede ai togati europei di pronunciarsi su una normativa nazionale, come quella dell’ordinamento tedesco, che preveda un regime fiscale di favore per le plusvalenze, generate da una cessione a titolo oneroso di alcuni beni di investimento a condizione che tali beni vengano sostituiti con beni destinati ad essere impiegati nel territorio nazionale, ritenuta incompatibile con l’articolo 49 TFUE e l’articolo 31 dell’accordo SEE.
 
La normativa tedesca e l’incompatibilità
Il regime fiscale controverso, comporta che il bene sostituito e il bene sostitutivo siano considerati costitutivi di un unico bene in quanto, da un punto di vista economico, i due beni di produzione genererebbero entrate nel territorio tedesco. Le plusvalenze realizzate con la cessione del bene sostituito sarebbero trasferite sul bene sostitutivo nel bilancio dell’impresa interessata. Ecco che allora il bene sostituito risulterebbe come se non fosse mai uscito dal capitale dell’impresa e, da un punto di vista tecnico, ciò è possibile solo nel caso in cui i beni in oggetto facessero parte del patrimoni del medesimo soggetto passivo rientrando così nella potestà impositiva delle autorità tedesche. Per le autorità tedesche, il regime fiscale suddetto, sarebbe in ogni caso giustificato da motivi imperativi di interesse generale quali la necessità di preservare la ripartizione della potestà impositiva tra gli stessi Stati membri. Inoltre, il trattamento fiscale favorevole delle plusvalenze da cessione del bene sostituito sarebbe, allo stesso modo, strettamente legato alla tassazione dei profitti realizzati grazie al ben sostitutivo nel territorio tedesco. La Commissione europea sostiene che una normativa fiscale siffatta sia contraria alle disposizioni di cui al Trattato FUE e dell’accordo SEE. Il soggetto passivo è legittimato a trasferire su determinati beni sostitutivi, non venendo assoggettate ad imposta, le plusvalenze generate dalla cessione di alcuni beni di investimento a condizione che tali plusvalenze siano reinvestite in nuovi beni sostitutivi. Conformemente a passata giurisprudenza della Corte,  il reinvestimento di plusvalenze rientranti nella potestà impositiva della Repubblica federale di Germania, ai fini dell’acquisto di beni sostitutivi destinati a una stabile organizzazione del soggetto passivo situata nel territorio di altro Stato membro, non necessariamente implica per lo Stato impositore la rinuncia al diritto di tassare le plusvalenze realizzate nell’ambito della sua competenza fiscale prima del differimento delle stesse plusvalenze al di fuori del territorio nazionale. Sotto altro punto di vista una normativa siffatta non può essere giustificata da motivi di promuovere investimenti, visto che lo stesso scopo può essere realizzato senza la previsione di un obbligo ad investire nello Stato membro interessato.
 
La pronuncia
I giudici della terza sezione della Corte di giustizia europea hanno dichiarato e statuito come il regime fiscale, previsto dalla legge tedesca relativa all’imposta sul reddito, che prevede la subordinazione del beneficio del differimento della tassazione delle plusvalenze generate dalla cessione a titolo oneroso di un bene di investimento a condizione che tali plusvalenze siano reinvestite in beni sostitutivi nel territorio nazionale, non è compatibile con le disposizioni di cui agli articoli 49 TFUE e 31 dell’accordo SEE.
 
 
 
Data della sentenza
16 aprile 2015
Numero della causa
C‐591/13
Nome delle parti
  • Commissione europea
contro
  • Repubblica federale di Germania
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