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Giurisprudenza

Il pm non specifica i “gravi motivi”,
ma è legittimo l’accesso domiciliare

La Cassazione conferma che sono sufficienti i rilevanti indizi probatori di violazioni fiscali acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di una precedente attività investigativa

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La Cassazione, quinta sezione civile, con la sentenza n. 28563 del 6 novembre 2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società di capitali che lamentava l’illegittimo utilizzo di elementi probatori acquisiti in un accesso domiciliare autorizzato dal pubblico ministero senza la sussistenza dei “gravi indizi” richiesti dall’art. 52, comma 2 del DPR 633/72, per “reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”.
Per la Corte suprema il richiamo alla nota d’incarico della tenenza della Guardia di finanza che legittimava le ragioni della verifica fiscale e i numerosi indizi di violazione tributaria precedentemente acquisiti, hanno integrato la sussistenza dei “gravi motivi”, legittimando quindi l’utilizzabilità del materiale probatorio per l’emissione degli avvisi di accertamento impugnati.
 
Il caso e la pronuncia della Cassazione
La vicenda trae origine da quattro distinti avvisi di accertamento emessi sulla base delle risultanze di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di finanza, che ha contestato, per le annualità dal 2004 al 2007, ricavi non dichiarati, conseguenti alla sottofatturazione di ingenti forniture di merci a diversi clienti e all’omessa autofatturazione da parte del cessionario che aveva ricevuto beni senza fattura.
Con sentenza del 7 maggio 2011, i giudici di primo grado hanno respinto il ricorso della parte contribuente, che, pertanto, resistendo, ha adito ricorso alla Commissione tributaria regionale competente, lamentando, tra l’altro, l’illegittimità dell'accesso dei militari della Guardia di finanza presso l’abitazione del legale rappresentante e del coniuge (socio della verificata) in base all'articolo 52, secondo comma, del Dpr n. 633/1972.
I giudici di secondo grado hanno rigettato il ricorso, ritenendo legittimo l’accesso domiciliare, ancorché effettuato “in presenza di numerosi indizi di violazioni tributarie, acquisiti grazie ad un'approfondita attività investigativa avviata dalla GdF già nel 2008”. La decisone dei giudici si fonda altresì sulla considerazione che “per la giurisprudenza di legittimità, in materia tributaria non osterebbe all'utilizzabilità della documentazione neppure l'acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento”.
 
Il contribuente ha, quindi, proposto ricorso dinanzi la Cassazione, sulla scorta del fatto che l’abitazione del rappresentante legale della società verificata, nella quale era avvenuta la perquisizione ed erano stati rinvenuti alcuni files rilevanti per le indagini, si trovava in un luogo diverso da quello nel quale, all’epoca dei fatti, la società aveva la propria sede legale, sottolineando che l’autorizzazione all’accesso domiciliare del procuratore della Repubblica era stata data ai sensi degli articoli 52, primo comma, che si riferisce all’accesso nei locali destinati all’esercizio dell’impresa, che siano adibiti “anche” ad abitazione e che, inoltre, era priva della motivazione circa la sussistenza di gravi indizi di violazione delle norme tributarie che, invece, è richiesta, dall’articolo 52, secondo comma, per l’accesso “in locali che non siano destinati contemporaneamente all'esercizio dell'impresa e ad abitazione”.
Nel caso di specie, l’autorizzazione ad accedere nei locali a uso abitativo si fondava su una mera nota della competente tenenza della Guardia di finanza “con la quale si fa presente che deve essere avviata una verifica fiscale”.
Il giudice di legittimità, tuttavia, “ha ritenuto legittimo l'accesso domiciliare presso l'abitazione della legale rappresentante della società verificata, sulla scorta della preventiva autorizzazione del pubblico ministero, che non era priva di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di violazione delle norme tributarie”.
Perno della decisone è stato infatti l’apprezzamento del Giudice d’appello che ha autonomamente riconosciuto la sussistenza dei tali gravi indizi della violazione di norme tributarie, raccolti dalla GdF, ancor prima di chiedere l’autorizzazione all’accesso domiciliare, grazie a un’intensa e articolata attività investigativa, avviata nel 2008.
Pe le ragioni esposte, il ricorso è stato respinto, con conseguente condanna alla parte ricorrente anche delle spese relative al giudizio di legittimità.
 
Osservazioni
In ambito fiscale, l’accesso è quel potere di entrare in un locale, anche in modo forzoso, e di permanervi anche contro il consenso di chi ne ha la disponibilità. Costituisce pertanto uno degli strumenti maggiormente invasivi a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per l’esecuzione delle proprie attività ispettive.
La norma regolamentatrice delle attività di accesso e ispezione fiscale è l’articolo 52 del Dpr n. 633/1972 applicabile in ambito di Iva e, per espresso richiamo di altre disposizioni normative, alla generalità dei settori tributari.
Il summenzionato articolo prevede diverse tipologie di accesso ai fini fiscali, le quali si differenziano in relazione ai presupposti e alle modalità esecutive che ne legittimano l’adozione. In particolare, con riguardo all’accesso nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, professionali, è necessario che gli esecutori siano muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Laddove i locali siano adibiti “anche” ad abitazione è necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, in aggiunta a quella del capo dell’ufficio.
 
Con riferimento invece ai locali adibiti “esclusivamente” ad abitazione, è sempre richiesta l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, che però può essere rilasciata “soltanto in caso di gravi indizi di violazioni” delle norme fiscali, “allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni medesime”.
L’autorizzazione della procura della Repubblica a eseguire un accesso domiciliare è, pertanto, un atto tipicamente discrezionale. Infatti, la legge riconosce all’Autorità giudiziaria ordinaria il potere di valutare l’esistenza in concreto degli indizi di violazione delle leggi tributarie segnalati dall’Organo richiedente, per stabilire se essi sussistano effettivamente e siano più o meno gravi.
 
L’eventuale giudizio negativo circa la legittimità e la regolarità degli atti istruttori può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto finale impugnato. Sul punto, con ordinanza n. 28188/2013, gli i giudici di Cassazione hanno affermano che “il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti e da altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica (…) ha il dovere (…) oltre che di verificare la presenza di una motivazione sulla sussistenza di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza di tale apprezzamento”.
Oltre al rispetto delle norme previste dallo “Statuto dei diritti del contribuente”, le operazioni di accesso domiciliare devono anche trovare il giusto coordinamento con il principio cardine dell’inviolabilità del domicilio, sancito dall’articolo 14 della Costituzione. Ne consegue che per consentire al procuratore un’attenta valutazione della fattispecie illecita segnalata, l’ufficio richiedente l’autorizzazione deve formulare la richiesta evidenziando con chiarezza e completezza i “gravi indizi di violazione” richiesti dall’ articolo 52 del Dpr n. 633/1972.
 
Orbene, è vero che la giurisprudenza di legittimità ha più volte espresso la necessità che l’autorizzazione all’ispezione di locali adibiti ad abitazione sia correttamente motivata, tuttavia ha, comunque, riconosciuto che la stessa possa esaurirsi anche in espressioni sintetiche di significato implicito, ovvero risolversi nel semplice richiamo alla nota dell’Organo di controllo che faccia riferimento ai gravi indizi di violazioni.
In particolare, le sezioni unite, con la sentenza n. 16424/2004, hanno disposto che il giudice tributario, dinanzi alla contestazione della pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, “può essere chiamato a controllare l'esistenza del decreto del pubblico ministero e la presenza in esso degli indispensabili requisiti”, e che, nel valutare la legittimità del provvedimento di autorizzazione all’accesso domiciliare, terrà conto, “quanto al requisito motivazionale, che l'apprezzamento della gravità degli indizi è esternabile anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall'autorità richiedente”.
Nel caso di specie, la Corte suprema, proprio in ragione dei principi sopra esposti, ha respinto il ricorso del contribuente, precisando che “l'obbligo motivazionale deve ritenersi assolto nel caso in cui risultino indicate la nota e l'autorità richiedente, con la specificazione che il provvedimento trova causa e giustificazione nell'esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui valutazione dev'essere effettuata ex ante con prudente apprezzamento”.

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