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Giurisprudenza

Premio fedeltà del lavoratore.
Fa parte del reddito imponibile

La tassazione delle somme percepite può essere esclusa solo se l’erogazione ha il carattere di eccezionalità: i 25 anni di servizio sono un evento “naturale e prevedibile”

Topolino e Pluto
È legittimo il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle Entrate sull’istanza di rimborso delle trattenute operate dal datore di lavoro sul “premio fedeltà” corrisposto al dipendente, in quanto tale erogazione deve essere considerata reddito imponibile.
Lo ha chiarito la Corte di cassazione con l’ordinanza 27099 del 3 dicembre.
 
Evoluzione processuale della vicenda
La controversia trae origine dal ricorso promosso contro l’Agenzia delle Entrate avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria sull’istanza di rimborso delle trattenute operate dal datore di lavoro sul "premio fedeltà" corrisposto al lavoratore, al raggiungimento del 25esimo anno di servizio.
La Commissione tributaria centrale adita riteneva non assoggettabile a tassazione il premio in questione.
L’Amministrazione finanziaria promuoveva perciò ricorso in Cassazione con un unico motivo, assumendo la violazione dell’articolo 17 del Dpr 636/1972, laddove la Ctc ha ritenuto non tassabile l’erogazione del premio fedeltà.
Resisteva con controricorso il contribuente.
 
Pronuncia della Cassazione
Con l’ordinanza oggetto della presente trattazione, la Suprema corte ha accolto le censure di parte ricorrente, sulla base del consolidato principio secondo il quale, in tema di imposte sui redditi, il cosiddetto “premio fedeltà” fa parte del reddito imponibile, “potendo essere esclusa la tassabilità delle somme percepite solo se ricorrano i requisiti della eccezionalità e della non ricorrenza della erogazione liberale, effettuata a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti”.
Nel caso di specie la ricorrenza del venticinquesimo anno di servizio del dipendente non può ritenersi evento riconducibile a tale concetto, trattandosi di avvenimento naturale e prevedibile. E ciò conformemente alle sentenze 13459//2008, 22584/2007 e 20929/2007.
 
A giudizio della Cassazione, l’articolo 48, comma 1, del Tuir, costituisce “una norma antielusiva tendente ad evitare che, sotto forma di erogazioni liberali, vengano corrisposte al lavoratore somme che in realtà hanno natura di vero e proprio corrispettivo per l’attività svolta”.
 
Già anche con la sentenza 7340/2008, la Cassazione aveva affermato, in tema di Irpeg, la deducibilità del premio fedeltà da parte dell’azienda, costo inerente l’attività d’impresa. Secondo la Suprema corte, il premio fedeltà risultava istituito contrattualmente per apportare un beneficio integrativo del trattamento di fine rapporto ai soggetti che mantenevano il rapporto ininterrottamente per un certo periodo con la società. La premialità operava, dunque, durante il rapporto di lavoro e, ove questo fosse venuto meno, il beneficio veniva recuperato dalla società elargente.
 
Applicando una precisa norma antielusiva, pertanto, la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 27099/2013, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’articolo 384 cpc decide nel merito e accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribaltando il pronunciato della Ctc, e precisando che “è necessario evitare che sotto forma di erogazioni liberali vengano corrisposte somme che in realtà sono un vero e proprio corrispettivo”.
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