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Giurisprudenza

Prestazioni sanitarie ed esenzione Iva

Nel mirino della Corte di Giustizia la corretta applicazione dell’articolo 13, parte A, n.1 della sesta direttiva

La sentenza emessa lo scorso 27 aprile, fa riferimento ai procedimenti C-443/04 e C-444/04 e consente di soffermare l’attenzione sulla portata della discrezionalità riconosciuta agli Stati membri in ordine alla individuazione delle operazioni che beneficiano dell’esenzione dal pagamento dell'imposta. Com’è noto il legislatore comunitario ha previsto in modo tassativo ed analitico delle fattispecie che, per la loro indiscussa valenza sociale e, in ragione di valutazioni di carattere politico-economico, sono esonerate dall’assolvimento dell’imposta. Si tratta di una evidente deroga alle regole che presiedono al normale funzionamento dell’Iva che, rappresentando l’imposta sui consumi per eccellenza, colpisce tutte le fasi di commercializzazione del bene ceduto o del servizio erogato.

La normativa in dettaglio
L’articolo 13, parte A, n.1 della sesta direttiva prevede, come in precedenza accennato, che "gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste in seguito e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso, …le prestazioni mediche effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dagli Stati interessati".
L’oggetto della controversia
La controversia in esame concerne, per l’appunto, la corretta applicazione che l’autorità tributaria dei Paesi Bassi ha fatto dell’articolo in esame o, più esattamente, del potere che la norma in esame riconosce agli Stati membri in ordine alla individuazione delle circostanze in presenza delle quali le operazioni distintamente elencate nel richiamato articolo 13 beneficiano dell’agevolazione dell’esenzione da Iva.I due distinti procedimenti Due sono i procedimenti portati all’attenzione della Corte comunitaria da parte del giudice del rinvio. La causa C-443/04 concerne l’attività di un fisioterapista, regolarmente iscritto all’Albo in conformità della normativa nazionale olandese. Il soggetto visita i pazienti che si rivolgono a lui con problemi di varia natura, sia fisica che psichica, con particolare attenzione per i disturbi mascellari e orali. Tali disturbi vengono scoperti e accertati mediante esami appositi e, successivamente, curati con trattamenti omeopatici e di terapia laser e manuale. Le autorità fiscali olandesi hanno negato al soggetto il diritto di beneficiare dell’esenzione da Iva sulle attività di diagnosi in oggetto sulla base del presupposto che "la diagnostica dei campi di disturbo non rientra nell’ambito di attività di un fisioterapista quale è definito dal regolamento nazionale relativo ai requisiti di accesso alla professione ed alla specializzazione dei fisioterapisti".La causa C-444/04 riguarda l’attività esercitata da una psicoterapeuta regolarmente iscritta all’Albo. Anche in tale caso, l’autorità fiscale ha ritenuto che le prestazioni dalla medesima erogate non potessero essere ricondotte a quelle erogate dagli psicologi e, come tale, dovessero essere ritenute imponibili a tutti gli effetti.

I quesiti del giudice del rinvio
Il quesito posto dal giudice del rinvio alla Corte di Giustizia riguarda, in buona sostanza, la possibilità che l’esenzione possa estendersi anche alle prestazioni erogate, rispettivamente, da un fisioterapista e da una psicoterapeuta al di fuori dell’ambito di esercizio delle professioni mediche e paramediche quali rigidamente fissate dalla normativa interna dello Stato membro interessato.

Le osservazioni preliminari della Corte

La Corte ha preliminarmente precisato che, per fruire dell’esenzione da imposta, l’articolo 13, parte A, n.1, espressamente richiede la ricorrenza di due condizioni. La prima è che il prestatore eroghi "prestazioni mediche" mentre la seconda che tali prestazioni vengano effettuate "nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dagli Stati membri interessati". Se nel caso in esame è indubbio che le prestazioni erogate dai ricorrenti siano qualificabili come "prestazioni mediche" a tutti gli effetti, atteso che i servizi in parola sono svolti allo scopo della diagnosi, della cura e della guarigione dei disturbi fisico-psichici vantati dai pazienti, è pur vero, altresì, che la questione concernente la possibilità di qualificare tali prestazioni alla stregua di "professioni mediche" conformemente alla normativa interna, spetta al giudice del rinvio che, in particolare, è tenuto a valutare se lo Stato membro interessato abbia superato i limiti del proprio potere discrezionale, non prevedendo l’esenzione da Iva  per talune tipologie di servizi (è il caso del fisioterapista) o per talune professioni (come nel caso della psicoterapeuta).

Le indicazioni a cui deve attenersi il giudice a quo
La Corte ha, comunque, inteso fornire alcune precise indicazioni cui il giudice a quo dovrà attenersi per valutare l’eccesso di discrezionalità da parte dello Stato membro interessato nel negare l’agevolazione. In particolare i giudici comunitari rilevano che la discrezionalità di cui godono gli Stati nel definire sia le qualifiche richieste per esercitare le professioni sanitarie sia le attività mediche specifiche che rientrano in tali professioni non è assolutamente illimitata. Gli Stati, difatti, sono legittimati a prevedere delle condizioni cui ancorare l’esenzione al soltanto per garantire un’applicazione semplice e corretta delle agevolazioni.Ciò implica che la previsione di particolari condizioni, cui subordinare l’operatività dell’articolo 13, non può mai tradursi nella fissazione di regole interne che pregiudichino gli obiettivi perseguiti dalla sesta direttiva e dal diritto comunitario in genere, con particolare riguardo al principio di parità di trattamento che si traduce, in ambito Iva, nel principio di neutralità fiscale.

Esenzioni e prestazioni mediche

A tal proposito la Corte rammenta che la condizione richiesta dall’articolo 13, parte A, n.1, secondo cui le prestazioni mediche devono essere erogate nell’esercizio delle professioni paramediche come qualificate e definite dai singoli ordinamenti interni, è volta a garantire che l’esenzione si applichi unicamente alle prestazioni mediche fornite da soggetti in possesso delle necessarie qualifiche professionali. Da ciò discende, prosegue la Corte, che l’esclusione di una data attività medica dalla definizione delle professioni mediche adottata dalla normativa interna ai fini dell’esenzione di cui al citato articolo 13 deve essere sorretta da motivi oggettivi basati sulle qualifiche professionali dei prestatori delle cure. Tuttavia, a parere della Corte, anche in presenza di qualifiche professionali non identiche, le relative prestazioni erogate possono essere considerate di uno stesso tipo se presentano un livello di qualità equivalente per i soggetti che ne traggono beneficio.

Le conclusioni
Pertanto, conclude la Corte, l’esclusione di una professione o attività medica dalla definizione adottata dalla normativa interna dello Stato interessato si pone in contrasto con il principio di neutralità fiscal, secondo cui le prestazioni di uno stesso tipo devono ricevere un identico trattamento dal punto di vista tributario, qualora si dimostri "che le persone svolgenti la detta professione dispongono di qualifiche professionali idonee a garantire un livello equivalente a quello delle prestazioni fornite da persone che beneficiano dell’esenzione in virtù della medesima normativa nazionale".
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